1. Dottrina sociale Chiesa cattolica - parte prima - la Vita e la Cultura

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1. Dottrina sociale Chiesa cattolica - parte prima

Vita e Cultura > Centro culturale > Dottrina Sociale

TESTO TRATTO DA: III Edizione © Copyright 2004 - Libreria Editrice Vaticana
Libreria Editrice Vaticana ISBN 88-209-7630-7

Fonte:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html


COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA


INTRODUZIONE
UN UMANESIMO INTEGRALE E SOLIDALE

a) All'alba del terzo millennio
1 La Chiesa, popolo pellegrinante, si inoltra nel terzo millennio dell'era cristiana guidata da Cristo, il « Pastore grande » (Eb 13,20): Egli è la Porta Santa (cfr. Gv 10,9) che abbiamo varcato durante il Grande Giubileo dell'anno 2000. 1 Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita (cfr. Gv 14,6): contemplando il Volto del Signore, confermiamo la nostra fede e la nostra speranza in Lui, unico Salvatore e traguardo della storia.
La Chiesa continua a interpellare tutti i popoli e tutte le Nazioni, perché solo nel nome di Cristo è data all'uomo la salvezza. La salvezza, che il Signore Gesù ci ha conquistato « a caro prezzo » (1 Cor 6,20; cfr. 1 Pt 1,18-19), si realizza nella vita nuova che attende i giusti dopo la morte, ma investe anche questo mondo nelle realtà dell'economia e del lavoro, della tecnica e della comunicazione, della società e della politica, della comunità internazionale e dei rapporti tra le culture e i popoli: « Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina ». 2
2 In quest'alba del terzo millennio, la Chiesa non si stanca di annunciare il Vangelo che dona salvezza e autentica libertà anche nelle cose temporali, ricordando la solenne raccomandazione rivolta da san Paolo al discepolo Timoteo: « Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero » (2 Tm 4,2-5).
3 Agli uomini e alle donne del nostro tempo, suoi compagni di viaggio, la Chiesa offre anche la sua dottrina sociale. Quando, infatti, la Chiesa « compie la sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina ». 3 Tale dottrina ha una sua profonda unità, che sgorga dalla Fede in una salvezza integrale, dalla Speranza in una giustizia piena, dalla Carità che rende tutti gli uomini veramente fratelli in Cristo: è un'espressione dell'amore di Dio per il mondo, che Egli ha tanto amato « da dare il suo Figlio unigenito » (Gv 3,16). La legge nuova dell'amore abbraccia l'intera umanità e non conosce limiti, poiché l'annuncio della salvezza in Cristo si estende « fino agli estremi confini della terra » (At 1,8).
4 Scoprendosi amato da Dio, l'uomo comprende la propria trascendente dignità, impara a non accontentarsi di sé e ad incontrare l'altro in una rete di relazioni sempre più autenticamente umane. Uomini resi nuovi dall'amore di Dio sono in grado di cambiare le regole e la qualità delle relazioni e anche le strutture sociali: sono persone capaci di portare pace dove ci sono conflitti, di costruire e coltivare rapporti fraterni dove c'è odio, di cercare la giustizia dove domina lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Solo l'amore è capace di trasformare in modo radicale i rapporti che gli esseri umani intrattengono tra loro. Inserito in questa prospettiva, ciascun uomo di buona volontà può intravedere i vasti orizzonti della giustizia e dello sviluppo umano nella verità e nel bene.
5 L'amore ha davanti a sé un vasto lavoro al quale la Chiesa vuole contribuire anche con la sua dottrina sociale, che riguarda tutto l'uomo e si rivolge a tutti gli uomini. Tanti fratelli bisognosi attendono aiuto, tanti oppressi attendono giustizia, tanti disoccupati attendono lavoro, tanti popoli attendono rispetto: « È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all'analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all'insidia della droga, all'abbandono nell'età avanzata o nella malattia, all'emarginazione o alla discriminazione sociale. ... E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell'uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l'incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini? ». 4
6 L'amore cristiano spinge alla denuncia, alla proposta e all'impegno di progettazione culturale e sociale, ad una fattiva operosità, che sprona tutti coloro che hanno sinceramente a cuore la sorte dell'uomo ad offrire il proprio contributo. L'umanità comprende sempre più chiaramente di essere legata da un unico destino che richiede una comune assunzione di responsabilità, ispirata da un umanesimo integrale e solidale: vede che questa unità di destino è spesso condizionata e perfino imposta dalla tecnica o dall'economia e avverte il bisogno di una maggiore consapevolezza morale, che orienti il cammino comune. Stupiti dalle molteplici innovazioni tecnologiche, gli uomini del nostro tempo desiderano fortemente che il progresso sia finalizzato al vero bene dell'umanità di oggi e di domani.
b) Il significato del documento
7 Il cristiano sa di poter trovare nella dottrina sociale della Chiesa i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da cui partire per promuovere un umanesimo integrale e solidale. Diffondere tale dottrina costituisce, pertanto, un'autentica priorità pastorale, affinché le persone, da essa illuminate, si rendano capaci di interpretare la realtà di oggi e di cercare appropriate vie per l'azione: « L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa ». 5
In questa prospettiva è stata ritenuta assai utile la pubblicazione di un documento che illustrasse le linee fondamentali della dottrina sociale della Chiesa e la relazione esistente tra questa dottrina e la nuova evangelizzazione. 6 Il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che lo ha elaborato e ne porta la piena responsabilità, si è avvalso per quest'opera di un'ampia consultazione, coinvolgendo i suoi Membri e Consultori, alcuni Dicasteri della Curia Romana, Conferenze Episcopali di vari Paesi, singoli Vescovi ed esperti nelle questioni trattate.
8 Questo documento intende presentare in maniera complessiva e sistematica, anche se in forma sintetica, l'insegnamento sociale, che è frutto della sapiente riflessione magisteriale ed espressione del costante impegno della Chiesa nella fedeltà alla Grazia della salvezza di Cristo e nell'amorevole sollecitudine per le sorti dell'umanità. Gli aspetti teologici, filosofici, morali, culturali e pastorali più rilevanti di tale insegnamento vengono qui organicamente richiamati in relazione alle questioni sociali. In questo modo viene testimoniata la fecondità dell'incontro tra il Vangelo e i problemi che l'uomo affronta nel suo cammino storico.
Nello studio del Compendio sarà bene tener presente che le citazioni dei testi del Magistero sono tratte da documenti di diversa autorità. A fianco dei documenti conciliari e delle encicliche, figurano anche discorsi dei Pontefici o documenti elaborati da Dicasteri della Santa Sede. Come è noto, ma sembra opportuno sottolinearlo, il lettore deve essere consapevole che si tratta di livelli diversi di insegnamento. Il documento, che si limita ad offrire un'esposizione delle linee fondamentali della dottrina sociale, lascia alle Conferenze Episcopali la responsabilità di fare le opportune applicazioni richieste dalle diverse situazioni locali. 7
9 Il documento offre un quadro complessivo delle linee fondamentali del « corpus » dottrinale dell'insegnamento sociale cattolico. Tale quadro consente di affrontare adeguatamente le questioni sociali del nostro tempo, che richiedono di essere prese in considerazione con una visione d'insieme, perché si caratterizzano come questioni sempre più interconnesse, che si condizionano a vicenda e che riguardano sempre di più tutta la famiglia umana. L'esposizione dei principi della dottrina sociale intende suggerire un metodo organico nella ricerca di soluzioni ai problemi, affinché il discernimento, il giudizio e le scelte siano rispondenti alla realtà e la solidarietà e la speranza possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne. I principi, infatti, si richiamano e si illuminano l'un l'altro, in quanto esprimono l'antropologia cristiana, 8 frutto della Rivelazione dell'amore che Dio ha per la persona umana. Si tenga in debita considerazione, tuttavia, che il trascorrere del tempo e il mutare dei contesti sociali richiederanno costanti e aggiornate riflessioni sui diversi argomenti qui esposti, per interpretare i nuovi segni dei tempi.
10 Il documento si propone come uno strumento per il discernimento morale e pastorale dei complessi eventi che caratterizzano i nostri tempi; come una guida per ispirare, a livello individuale e collettivo, comportamenti e scelte tali da permettere di guardare al futuro con fiducia e speranza; come un sussidio per i fedeli sull'insegnamento della morale sociale. Ne può derivare un nuovo impegno capace di rispondere alle esigenze del nostro tempo e misurato sui bisogni e sulle risorse dell'uomo, ma soprattutto l'anelito a valorizzare in forme nuove la vocazione propria dei vari carismi ecclesiali in ordine all'evangelizzazione del sociale, perché « tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare ». 9 Il testo viene proposto, infine, come motivo di dialogo con tutti coloro che desiderano sinceramente il bene dell'uomo.
11 I primi destinatari di questo documento sono i Vescovi
, che troveranno le forme più adatte per la sua diffusione e la sua corretta interpretazione. Appartiene, infatti, al loro « munus docendi » insegnare che « nel piano di Dio Creatore le realtà terrene e le istituzioni umane sono finalizzate anche alla salvezza degli uomini e possono perciò contribuire non poco all'edificazione del Corpo di Cristo ». 10 I sacerdoti, i religiosi e le religiose e, in generale, i formatori vi troveranno una guida per il loro insegnamento e uno strumento di servizio pastorale. I fedeli laici, che cercano il Regno dei cieli « trattando e ordinando secondo Dio le cose temporali », 11 vi troveranno luce per il loro specifico impegno. Le comunità cristiane potranno utilizzare questo documento per analizzare obiettivamente le situazioni, chiarirle alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti per l'azione. 12
12 Questo documento è proposto anche ai fratelli delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, ai seguaci delle altre religioni, nonché a quanti, uomini e donne di buona volontà, si impegnano a servire il bene comune: vogliano accoglierlo come il frutto di un'esperienza umana universale, costellata da innumerevoli segni della presenza dello Spirito di Dio. È un tesoro di cose nuove e antiche (cfr. Mt 13,52), che la Chiesa vuole condividere, per ringraziare Dio, dal quale discende « ogni buon regalo e ogni dono perfetto » (Gc 1,17). È un segno di speranza il fatto che oggi le religioni e le culture manifestano disponibilità al dialogo ed avvertono l'urgenza di unire i propri sforzi per favorire la giustizia, la fraternità, la pace e la crescita della persona umana.
La Chiesa Cattolica unisce in particolare il proprio impegno a quello profuso in campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico. Insieme ad esse, la Chiesa Cattolica è convinta che dalla comune eredità degli insegnamenti sociali custoditi dalla tradizione viva del popolo di Dio derivino stimoli e orientamenti per una sempre più stretta collaborazione nella promozione della giustizia e della pace. 13
c) Al servizio della piena verità dell'uomo
13 Questo documento è un atto di servizio della Chiesa agli uomini e alle donne del nostro tempo, ai quali essa offre il patrimonio della sua dottrina sociale, secondo quello stile di dialogo con cui Dio stesso, nel Suo Figlio unigenito fatto uomo, « parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e vive fra essi (cfr. Bar 3,38) ». 14 Traendo ispirazione dalla Costituzione pastorale « Gaudium et spes », anche questo documento pone come cardine di tutta l'esposizione l'uomo, « quello integrale, con il corpo e l'anima, con il cuore e la coscienza, l'intelletto e la volontà ». 15 Nella prospettiva delineata, la Chiesa « non è mossa da alcuna ambizione terrena, ma mira a una cosa sola: continuare cioè, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l'opera di Cristo, che è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, per salvare e non per giudicare, per servire e non per essere servito ». 16
14 Con il presente documento la Chiesa intende offrire un contributo di verità alla questione del posto dell'uomo nella natura e nella società, affrontata dalle civiltà e culture in cui si esprime la saggezza dell'umanità. Immergendo le loro radici in un passato spesso millenario, esse si manifestano nelle forme della religione, della filosofia e del genio poetico di ogni tempo e di ogni popolo, offrendo delle interpretazioni dell'universo e della convivenza umana e cercando di dare un senso all'esistenza e al mistero che l'avvolge. Chi sono io? perché la presenza del dolore, del male, della morte, malgrado ogni progresso? a che cosa valgono tante conquiste se il loro prezzo è non di rado insopportabile? che cosa ci sarà dopo questa vita? Queste domande di fondo caratterizzano il percorso del vivere umano. 17 A questo riguardo, si può ricordare il monito « Conosci te stesso », scolpito sull'architrave del tempio di Delfi, che sta a testimoniare la verità basilare secondo cui l'uomo, chiamato a distinguersi tra tutti gli esseri creati, si qualifica come uomo appunto in quanto costitutivamente orientato a conoscere se stesso.
15 L'orientamento che si imprime all'esistenza, alla convivenza sociale e alla storia dipende, in gran parte, dalle risposte date agli interrogativi sul posto dell'uomo nella natura e nella società, alle quali il presente documento intende offrire il suo contributo. Il significato profondo dell'esistere umano, infatti, si rivela nella libera ricerca della verità capace di offrire indirizzo e pienezza alla vita, ricerca alla quale tali interrogativi sollecitano incessantemente l'intelligenza e la volontà dell'uomo. Essi esprimono la natura umana al livello più alto, perché coinvolgono la persona in una risposta che misura la profondità del suo impegno con la propria esistenza. Si tratta, inoltre, di interrogativi essenzialmente religiosi: « quando il perché delle cose viene indagato con integralità alla ricerca della risposta ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si apre alla religiosità. In effetti, la religiosità rappresenta l'espressione più elevata della persona umana, perché è il culmine della sua natura razionale. Essa sgorga dall'aspirazione profonda dell'uomo alla verità ed è alla base della ricerca libera e personale che egli compie del divino ». 18
16 Gli interrogativi radicali che accompagnano sin dagli inizi il cammino degli uomini acquistano, nel nostro tempo, pregnanza ancora maggiore, per la vastità delle sfide, la novità degli scenari, le scelte decisive che le attuali generazioni sono chiamate a compiere.
La prima delle sfide più grandi, di fronte alle quali l'umanità oggi si trova, è quella della verità stessa dell'essere-uomo. Il confine e la relazione tra natura, tecnica e morale sono questioni che interpellano decisamente la responsabilità personale e collettiva in ordine ai comportamenti da tenere rispetto a ciò che l'uomo è, a ciò che può fare e a ciò che deve essere. Una seconda sfida è posta dalla comprensione e dalla gestione del pluralismo e delle differenze a tutti i livelli: di pensiero, di opzione morale, di cultura, di adesione religiosa, di filosofia dello sviluppo umano e sociale. La terza sfida è la globalizzazione, che ha un significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché nella storia si è aperta una nuova epoca, che riguarda il destino dell'umanità.
17 I discepoli di Gesù Cristo si sentono coinvolti da questi interrogativi, li portano anch'essi dentro il loro cuore e vogliono impegnarsi, insieme con tutti gli uomini, nella ricerca della verità e del senso dell'esistenza personale e sociale. A tale ricerca contribuiscono con la loro generosa testimonianza del dono che l'umanità ha ricevuto: Dio le ha rivolto la Sua Parola nel corso della storia, anzi Egli stesso vi è entrato per dialogare con essa e per rivelarle il Suo disegno di salvezza, di giustizia e di fraternità. Nel Suo Figlio, Gesù Cristo, divenuto uomo, Dio ci ha liberati dal peccato e ha indicato la via lungo la quale camminare e la meta verso cui tendere.
d) Nel segno della solidarietà, del rispetto e dell'amore
18 La Chiesa cammina insieme a tutta l'umanità lungo le strade della storia. Essa vive nel mondo e, pur non essendo del mondo (cfr. Gv 17, 14-16), è chiamata a servirlo seguendo la propria intima vocazione. Un simile atteggiamento — riscontrabile anche nel presente documento — è sostenuto dalla profonda convinzione che è importante per il mondo riconoscere la Chiesa quale realtà e fermento della storia, così come per la Chiesa non ignorare quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. 19 Il Concilio Vaticano II ha voluto dare un'eloquente dimostrazione della solidarietà, del rispetto e dell'amore nei riguardi della famiglia umana, instaurando con essa un dialogo su tanti problemi, « portando la luce che trae dal Vangelo e mettendo a disposizione del genere umano le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare la persona dell'uomo e di edificare la società umana ». 20
19 La Chiesa, segno nella storia dell'amore di Dio per gli uomini e della vocazione dell'intero genere umano all'unità nella figliolanza dell'unico Padre, 21 anche con questo documento sulla sua dottrina sociale intende proporre a tutti gli uomini un umanesimo all'altezza del disegno d'amore di Dio sulla storia, un umanesimo integrale e solidale, capace di animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà. Tale umanesimo può essere realizzato se i singoli uomini e donne e le loro comunità sapranno coltivare le virtù morali e sociali in se stessi e diffonderle nella società, « cosicché vi siano davvero uomini nuovi e artefici di una nuova umanità, con il necessario aiuto della grazia divina ». 22



PARTE PRIMA

« La dimensione teologica risulta necessaria
sia per interpretare che per risolvere
gli attuali problemi della convivenza umana »

(Centesimus annus, 55)



CAPITOLO PRIMO
IL DISEGNO DI AMORE DI DIO PER L'UMANITÀ
I. L'AGIRE LIBERANTE DI DIO NELLA STORIA DI ISRAELE
 

a) La prossimità gratuita di Dio
20 Ogni autentica esperienza religiosa, in tutte le tradizioni culturali, conduce ad una intuizione del Mistero che, non di rado, giunge a cogliere qualche tratto del volto di Dio. Egli appare, da un lato, come origine di ciò che è, come presenza che garantisce agli uomini, socialmente organizzati, le basilari condizioni di vita, mettendo a disposizione i beni ad essa necessari; dall'altro lato, invece, come misura di ciò che deve essere, come presenza che interpella l'agire umano — tanto a livello personale quanto a livello sociale — sull'uso di quegli stessi beni nel rapporto con gli altri uomini. In ogni esperienza religiosa, dunque, si rivelano importanti sia la dimensione del dono e della gratuità, che si coglie come sottesa all'esperienza che la persona umana fa del suo esistere insieme agli altri nel mondo, sia le ripercussioni di questa dimensione sulla coscienza dell'uomo, che avverte di essere interpellato a gestire in forma responsabile e conviviale il dono ricevuto. Testimonianza di tutto ciò è l'universale riconoscimento della regola d'oro, nella quale si esprime, sul piano delle relazioni umane, l'interpellanza che giunge all'uomo dal Mistero: « Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » (Mt 7,12). 23
21 Sullo sfondo, variamente condiviso, dell'universale esperienza religiosa, si staglia la Rivelazione che progressivamente Dio fa di Se stesso al popolo d'Israele. Essa risponde alla ricerca umana del divino in modo inatteso e sorprendente, grazie ai gesti storici, puntuali ed incisivi, nei quali si manifesta l'amore di Dio per l'uomo. Secondo il libro dell'Esodo, il Signore rivolge a Mosè questa parola: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele » (Es 3,7-8). La prossimità gratuita di Dio — alla quale allude il Suo stesso Nome, che Egli rivela a Mosè, « Io sono colui che sono » (Es 3,14) — si manifesta nella liberazione dalla schiavitù e nella promessa, diventando azione storica, dalla quale trae origine il processo di identificazione collettiva del popolo del Signore, mediante l'acquisto della libertà e della terra di cui Dio gli fa dono.
22 Alla gratuità dell'operare divino, storicamente efficace, si accompagna costantemente l'impegno dell'Alleanza, proposto da Dio e assunto da Israele. Sul monte Sinai, l'iniziativa di Dio si concreta nell'Alleanza col Suo popolo, al quale viene donato il Decalogo dei comandamenti rivelati dal Signore (cfr. Es 19-24). Le « dieci parole » (Es 34,28; cfr. Dt 4,13; 10,4) « esprimono le implicanze dell'appartenenza a Dio stabilita attraverso l'Alleanza. L'esistenza morale è risposta all'iniziativa d'amore del Signore. È riconoscenza, omaggio a Dio e culto d'azione di grazie. È cooperazione al piano che Dio persegue nella storia ». 24
I dieci comandamenti, che costituiscono uno straordinario cammino di vita e indicano le condizioni più sicure per una esistenza liberata dalla schiavitù del peccato, contengono un'espressione privilegiata della legge naturale. Essi « insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana ». 25 Essi connotano la morale umana universale. Ricordati anche da Gesù al giovane ricco del Vangelo (cfr. Mt 19,18), i dieci comandamenti « costituiscono le regole primordiali di ogni vita sociale ». 26
23 Dal Decalogo deriva un impegno che riguarda non solo ciò che concerne la fedeltà all'unico vero Dio, ma anche le relazioni sociali all'interno del popolo dell'Alleanza. Queste ultime sono regolate, in particolare, da quello che è stato definito il diritto del povero: « Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso... non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova » (Dt 15,7-8). Tutto questo vale anche nei confronti del forestiero: « Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio » (Lv 19,33-34). Il dono della liberazione e della terra promessa, l'Alleanza del Sinai e il Decalogo sono dunque intimamente connessi ad una prassi che deve regolare, nella giustizia e nella solidarietà, lo sviluppo della società israelitica.
24 Tra le molteplici disposizioni che tendono a dare concretezza allo stile di gratuità e di condivisione nella giustizia che Dio ispira, la legge dell'anno sabbatico (celebrato ogni sette anni) e di quello giubilare (ogni cinquant'anni)  27 si distingue come un importante orientamento — anche se mai pienamente realizzato — per la vita sociale ed economica del popolo d'Israele. È una legge che prescrive, oltre al riposo dei campi, il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei beni: ognuno può tornare alla sua famiglia d'origine e rientrare in possesso del suo patrimonio.
Tale legislazione vuole stabilire che l'evento salvifico dell'esodo e la fedeltà all'Alleanza rappresentano non solo il principio fondatore della vita sociale, politica ed economica di Israele, ma anche il principio regolatore delle questioni attinenti alle povertà economiche e alle ingiustizie sociali. Si tratta di un principio invocato per trasformare continuamente e dall'interno la vita del popolo dell'Alleanza, così da renderla conforme al disegno di Dio. Per eliminare le discriminazioni e le sperequazioni provocate dall'evoluzione socio-economica, ogni sette anni la memoria dell'esodo e dell'Alleanza viene tradotta in termini sociali e giuridici, così da riportare le questioni della proprietà, dei debiti, delle prestazioni e dei beni al loro più profondo significato.
25 I precetti dell'anno sabbatico e di quello giubilare costituiscono una dottrina sociale « in nuce ». 28 Essi mostrano come i principi della giustizia e della solidarietà sociale siano ispirati dalla gratuità dell'evento di salvezza realizzato da Dio e non abbiano soltanto il valore di correttivo di una prassi dominata da interessi e obiettivi egoistici, ma debbano diventare piuttosto, in quanto « prophetia futuri », il riferimento normativo al quale ogni generazione in Israele si deve conformare se vuole essere fedele al suo Dio.
Tali principi diventano il fulcro della predicazione profetica, che mira a farli interiorizzare. Lo Spirito di Dio, effuso nel cuore dell'uomo — annunciano i Profeti — vi farà attecchire quegli stessi sentimenti di giustizia e di misericordia che dimorano nel cuore del Signore (cfr. Ger 31,33 e Ez 36,26-27). Allora la volontà di Dio, espressa nel Decalogo donato sul Sinai, potrà radicarsi creativamente nell'intimo stesso dell'uomo. Da tale processo di interiorizzazione derivano maggiore profondità e realismo all'agire sociale, rendendo possibile la progressiva universalizzazione dell'atteggiamento di giustizia e solidarietà, che il popolo dell'Alleanza è chiamato ad assumere verso tutti gli uomini, di ogni popolo e Nazione.
b) Principio della creazione e agire gratuito di Dio
26 La riflessione profetica e sapienziale approda alla manifestazione prima e alla sorgente stessa del progetto di Dio sull'umanità intera, quando giunge a formulare il principio della creazione di tutte le cose da parte di Dio. Nel Credo d'Israele, affermare che Dio è Creatore non significa esprimere solo una convinzione teoretica, ma anche cogliere l'orizzonte originario dell'agire gratuito e misericordioso del Signore a favore dell'uomo. Egli, infatti, liberamente dà l'essere e la vita a tutto ciò che esiste. L'uomo e la donna, creati a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27), sono per ciò stesso chiamati ad essere il segno visibile e lo strumento efficace della gratuità divina nel giardino in cui Dio li ha posti come coltivatori e custodi dei beni del creato.
27 Nell'agire gratuito di Dio Creatore trova espressione il senso stesso della creazione, anche se oscurato e distorto dall'esperienza del peccato. La narrazione del peccato delle origini (cfr. Gen 3,1-24), infatti, descrive la tentazione permanente e insieme la situazione di disordine in cui l'umanità viene a trovarsi dopo la caduta dei progenitori. Disobbedire a Dio significa sottrarsi al Suo sguardo d'amore e voler gestire in proprio l'esistere e l'agire nel mondo. La rottura della relazione di comunione con Dio provoca la rottura dell'unità interiore della persona umana, della relazione di comunione tra l'uomo e la donna e della relazione armoniosa tra gli uomini e le altre creature. 29 In questa rottura originaria va ricercata la radice più profonda di tutti i mali che insidiano le relazioni sociali tra le persone umane, di tutte le situazioni che nella vita economica e politica attentano alla dignità della persona, alla giustizia e alla solidarietà.

II. GESÙ CRISTO
COMPIMENTO DEL DISEGNO DI AMORE DEL PADRE

a) In Gesù Cristo si compie l'evento decisivo della storia di Dio con gli uomini
28 La benevolenza e la misericordia, che ispirano l'agire di Dio e ne offrono la chiave d'interpretazione, diventano tanto prossime all'uomo da assumere i tratti dell'uomo Gesù, il Verbo fatto carne. Nel racconto di Luca, Gesù descrive il Suo ministero messianico con le parole di Isaia che richiamano il significato profetico del giubileo: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà
gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore » (4,18-19; cfr. Is 61,1-2). Gesù si pone dunque sulla linea del compimento, non solo perché adempie ciò che era stato promesso e che era atteso da Israele, ma anche nel senso, più profondo, che in Lui si compie l'evento decisivo della storia di Dio con gli uomini. Egli, infatti, proclama: « Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv 14,9). Gesù, in altri termini, manifesta tangibilmente e in modo definitivo chi è Dio e come Egli si comporta con gli uomini.
29 L'amore che anima il ministero di Gesù tra gli uomini è quello sperimentato dal Figlio nell'unione intima col Padre. Il Nuovo Testamento ci consente di penetrare nell'esperienza che Gesù stesso vive e comunica dell'amore di Dio Suo Padre — Abbà — e, dunque, nel cuore stesso della vita divina. Gesù annuncia la misericordia liberatrice di Dio nei confronti di coloro che incontra sulla Sua strada, a cominciare dai poveri, dagli emarginati, dai peccatori, e invita alla Sua sequela, perché Egli per primo, e in modo del tutto singolare, obbedisce al disegno d'amore di Dio quale Suo inviato nel mondo.
La coscienza che Gesù ha di essere il Figlio esprime appunto tale originaria esperienza. Il Figlio ha ricevuto tutto, e gratuitamente, dal Padre: « Tutto quello che il Padre possiede è mio » (Gv 16,15). Egli, a sua volta, ha la missione di fare partecipi di questo dono e di questa relazione filiale tutti gli uomini: « Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi » (Gv 15,15).
Riconoscere l'amore del Padre significa per Gesù ispirare la Sua azione alla medesima gratuità e misericordia di Dio, generatrici di vita nuova, e diventare così, con la Sua stessa esistenza, esempio e modello per i Suoi discepoli. Essi sono chiamati a vivere come Lui e, dopo la Sua Pasqua di morte e risurrezione, a vivere in Lui e di Lui, grazie al dono sovrabbondante dello Spirito Santo, il Consolatore che interiorizza nei cuori lo stile di vita di Cristo stesso.
b) La rivelazione dell'Amore trinitario
30 La testimonianza del Nuovo Testamento, con lo stupore sempre nuovo di chi è stato folgorato dall'inesprimibile amore di Dio (cfr. Rm 8,26), coglie nella luce della rivelazione piena dell'Amore trinitario offerta dalla Pasqua di Gesù Cristo, il significato ultimo dell'Incarnazione del Figlio e della Sua missione tra gli uomini. Scrive san Paolo: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? » (Rm 8,31-32). Un linguaggio simile usa anche san Giovanni: « In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1 Gv 4,10).
31 Il Volto di Dio, progressivamente rivelato nella storia della salvezza, risplende in pienezza nel Volto di Gesù Cristo Crocifisso e Risorto. Dio è Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo, realmente distinti e realmente uno, perché comunione infinita di amore. L'amore gratuito di Dio per l'umanità si rivela, innanzi tutto, come amore sorgivo del Padre, da cui tutto proviene; come gratuita comunicazione che il Figlio fa di esso, ridonandosi al Padre e donandosi agli uomini; come sempre nuova fecondità dell'amore divino che lo Spirito Santo effonde nel cuore degli uomini (cfr. Rm 5,5).
Con le parole e con le opere, e in modo pieno e definitivo con la Sua morte e la Sua risurrezione, 30 Gesù Cristo rivela all'umanità che Dio è Padre e che tutti siamo chiamati per grazia a diventare figli di Lui nello Spirito (cfr. Rm 8,15; Gal 4,6), e perciò fratelli e sorelle tra noi. È per questa ragione che la Chiesa crede fermamente che « la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana si trovano nel suo Signore e Maestro ». 31
32 Contemplando la gratuità e la sovrabbondanza del dono divino del Figlio da parte del Padre, che Gesù ha insegnato e testimoniato donando la Sua vita per noi, l'Apostolo Giovanni ne coglie il senso profondo e la più logica conseguenza: « Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi » (1 Gv 4,11-12). La reciprocità dell'amore è richiesta dal comandamento che Gesù definisce nuovo e Suo: « come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri » (Gv 13,34). Il comandamento dell'amore reciproco traccia la via per vivere in Cristo la vita trinitaria nella Chiesa, Corpo di Cristo, e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste.
33 Il comandamento dell'amore reciproco, che costituisce la legge di vita del popolo di Dio, 32 deve ispirare, purificare ed elevare tutti i rapporti umani nella vita sociale e politica: « Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale », 33 perché l'immagine e somiglianza del Dio trinitario sono la radice di « tutto "l'ethos" umano ... il cui vertice è il comandamento dell'amore ». 34 Il fenomeno culturale, sociale, economico e politico odierno dell'interdipendenza, che intensifica e rende particolarmente evidenti i vincoli che uniscono la famiglia umana, mette in risalto una volta di più, alla luce della Rivelazione, « un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani designiamo con la parola "comunione" ». 35

III. LA PERSONA UMANA NEL DISEGNO DI AMORE DI DIO

a) L'Amore trinitario, origine e meta della persona umana
34 La rivelazione in Cristo del mistero di Dio come Amore trinitario è insieme la rivelazione della vocazione della persona umana all'amore. Tale rivelazione illumina la dignità e la libertà personale dell'uomo e della donna e l'intrinseca socialità umana in tutta la loro profondità: « Essere persona a immagine e somiglianza di Dio comporta ... un esistere in relazione, in rapporto all'altro "io" », 36 perché Dio stesso, uno e trino, è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Nella comunione d'amore che è Dio, nel quale le tre Persone divine si amano reciprocamente e sono l'Unico Dio, la persona umana è chiamata a scoprire l'origine e la meta della sua esistenza e della storia. I Padri Conciliari, nella Costituzione pastorale « Gaudium et spes », insegnano che « il Signore Gesù, quando prega il Padre "perché tutti siano una cosa sola... come noi" (Gv 17,21-22), prospettando mete impervie alla ragione umana, accenna ad una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l'uomo, che è la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non nel dono sincero di sé (cfr. Lc 17,33) ». 37
35 La rivelazione cristiana proietta una luce nuova sull'identità, sulla vocazione e sul destino ultimo della persona e del genere umano. Ogni persona è da Dio creata, amata e salvata in Gesù Cristo, e si realizza intessendo molteplici relazioni di amore, di giustizia e di solidarietà con le altre persone, mentre va esplicando la sua multiforme attività nel mondo. L'agire umano, quando tende a promuovere la dignità e la vocazione integrale della persona, la qualità delle sue condizioni di esistenza, l'incontro e la solidarietà dei popoli e delle Nazioni, è conforme al disegno di Dio, che non manca mai di mostrare il Suo amore e la Sua Provvidenza nei confronti dei Suoi figli.
36 Le pagine del primo libro della Sacra Scrittura, che descrivono la creazione dell'uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26-27), racchiudono un fondamentale insegnamento circa l'identità e la vocazione della persona umana. Esse ci dicono che la creazione dell'uomo e della donna è un atto libero e gratuito di Dio; che l'uomo e la donna costituiscono, perché liberi e intelligenti, il tu creato di Dio e che solo nel rapporto con Lui possono scoprire e realizzare il significato autentico e pieno della loro vita personale e sociale; che essi, proprio nella loro complementarità e reciprocità, sono l'immagine dell'Amore trinitario nell'universo creato; che a loro, che sono il vertice della creazione, il Creatore affida il compito di ordinare secondo il Suo disegno la natura creata (cfr. Gen 1,28).
37 Il libro della Genesi ci propone alcuni perni dell'antropologia cristiana: l'inalienabile dignità della persona umana, che ha la sua radice e la sua garanzia nel disegno creatore di Dio; la costitutiva socialità dell'essere umano, che ha il suo prototipo nella relazione originaria tra l'uomo e la donna, la cui « unione costituisce la prima forma di comunione di persone »;  38 il significato dell'agire umano nel mondo, che è legato alla scoperta e al rispetto della legge naturale che Dio ha impresso nell'universo creato, affinché l'umanità lo abiti e lo custodisca secondo il Suo progetto. Questa visione della persona umana, della società e della storia è radicata in Dio ed è illuminata dalla realizzazione del Suo disegno di salvezza.
b) La salvezza cristiana: per tutti gli uomini e di tutto l'uomo
38 La salvezza che, per iniziativa di Dio Padre, è offerta in Gesù Cristo ed è attualizzata e diffusa per opera dello Spirito Santo, è salvezza per tutti gli uomini e di tutto l'uomo: è salvezza universale ed integrale. Riguarda la persona umana in ogni sua dimensione: personale e sociale, spirituale e corporea, storica e trascendente. Essa comincia a realizzarsi già nella storia, perché ciò che è creato è buono e voluto da Dio e perché il Figlio di Dio si è fatto uno di noi. 39 Il suo compimento, però, è nel futuro che Dio ci riserva, quando saremo chiamati, insieme a tutta la creazione (cfr. Rm 8), a partecipare alla risurrezione di Cristo e alla comunione eterna di vita col Padre, nella gioia dello Spirito Santo. Questa prospettiva indica precisamente l'errore e l'inganno delle visioni puramente immanentistiche del senso della storia e delle pretese di autosalvazione dell'uomo.
39 La salvezza che Dio offre ai Suoi figli richiede la loro libera risposta e adesione. In ciò consiste la fede, attraverso la quale « l'uomo liberamente si abbandona tutto a Dio », 40 rispondendo all'Amore preveniente e sovrabbondante di Dio (cfr. 1 Gv 4,10) con l'amore concreto ai fratelli e con ferma speranza, « perché è fedele colui che ha promesso » (Eb 10,23). Il piano divino di salvezza, infatti, non colloca la creatura umana in uno stato di mera passività o di minorità nei confronti del suo Creatore, perché il rapporto con Dio, che Gesù Cristo ci manifesta e nel quale ci introduce gratuitamente per opera dello Spirito Santo, è un rapporto di figliolanza: lo stesso che Gesù vive nei confronti del Padre (cfr. Gv 15-17; Gal 4,6-7).
40 L'universalità e l'integralità della salvezza, donata in Gesù Cristo, rendono inscindibile il nesso tra il rapporto che la persona è chiamata ad avere con Dio e la responsabilità nei confronti del prossimo, nella concretezza delle situazioni storiche. Ciò è intuito, anche se confusamente e non senza errori, nell'universale ricerca umana di verità e di senso, ma diventa struttura portante dell'Alleanza di Dio con Israele, come testimoniano le tavole della Legge e la predicazione profetica.
Tale nesso viene espresso con chiarezza e in perfetta sintesi nell'insegnamento di Gesù Cristo e confermato definitivamente dalla testimonianza suprema del dono della Sua vita, in obbedienza alla volontà del Padre e per amore verso i fratelli. Allo scriba che gli chiede: « Qual è il primo di tutti i comandamenti? » (Mc 12,28), Gesù risponde: « Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi » (Mc 12,29-31).
Nel cuore della persona umana si intrecciano indissolubilmente la relazione con Dio, riconosciuto come Creatore e Padre, fonte e compimento della vita e della salvezza, e l'apertura all'amore concreto verso l'uomo, che deve essere trattato come un altro se stesso, anche se è un nemico (cfr. Mt 5,43-44). Nella dimensione interiore dell'uomo si radica, in definitiva, l'impegno per la giustizia e la solidarietà, per l'edificazione di una vita sociale, economica e politica conforme al disegno di Dio.
c) Il discepolo di Cristo quale nuova creatura
41 La vita personale e sociale così come l'agire umano nel mondo sono sempre insidiati dal peccato, ma Gesù Cristo, « soffrendo per noi non solo ci ha lasciato un esempio perché ne seguiamo le orme, ma ci ha anche aperto una strada, percorrendo la quale la vita e la morte vengono santificate e acquistano un nuovo significato ». 41 Il discepolo di Cristo aderisce, nella fede e mediante i sacramenti, al mistero pasquale di Gesù, così che il suo uomo vecchio, con le sue inclinazioni cattive, viene crocifisso con Cristo. Quale nuova creatura egli allora viene abilitato nella grazia a « camminare in una vita nuova » (Rm 6,4). Tale cammino, tuttavia, « vale non soltanto per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la grazia. Poiché Cristo è morto per tutti, e poiché la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, cioè quella divina, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo offra a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, a questo mistero pasquale ». 42
42 La trasformazione interiore della persona umana, nella sua progressiva conformazione a Cristo, è presupposto essenziale di un reale rinnovamento delle sue relazioni con le altre persone: « Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo ». 43
43 Non è possibile amare il prossimo come se stessi e perseverare in questo atteggiamento, senza la determinazione ferma e costante di impegnarsi per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. 44 Secondo l'insegnamento conciliare, « il rispetto e l'amore devono estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché quanto più con onestà e carità saremo intimamente comprensivi verso il loro modo di pensare, tanto più facilmente potremo instaurare il dialogo con loro ». 45 In tale cammino è necessaria la grazia, che Dio offre all'uomo per aiutarlo a superare i fallimenti, per strapparlo dalla spirale della menzogna e della violenza, per sostenerlo e spronarlo a ritessere, con disponibilità sempre rinnovata, la rete delle relazioni vere e sincere con i suoi simili. 46
44 Anche la relazione con l'universo creato e le diverse attività che l'uomo dedica alla sua cura e trasformazione, quotidianamente minacciate dalla superbia e dall'amore disordinato di sé, devono essere purificate e portate alla perfezione dalla croce e dalla risurrezione di Cristo: « Redento da Cristo e fatto nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo può e deve amare le cose create da Dio. Da Dio le riceve, e le guarda e le onora come se uscissero dalle mani di Dio. Ringraziando per esse il Benefattore e usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, viene immesso nel vero possesso del mondo, come chi non ha nulla e invece possiede tutto: "Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1 Cor 3,22-23) ». 47
d) Trascendenza della salvezza e autonomia delle realtà terrene
45 Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto uomo nel quale e grazie al quale il mondo e l'uomo attingono la loro autentica e piena verità. Il mistero dell'infinita prossimità di Dio all'uomo — realizzatosi nell'Incarnazione di Gesù Cristo, spinto sino all'abbandono sulla croce e alla morte — mostra che quanto più l'umano è visto alla luce del disegno di Dio e vissuto in comunione con Lui, tanto più esso è potenziato e liberato nella sua identità e nella stessa libertà che gli è propria. La partecipazione alla vita filiale di Cristo, resa possibile dall'Incarnazione e dal dono pasquale dello Spirito, lungi dal mortificare, ha l'effetto di far sprigionare l'autentica e autonoma consistenza e identità degli esseri umani, in tutte le loro espressioni.
Questa prospettiva orienta verso una visione corretta delle realtà terrene e della loro autonomia, che è ben sottolineata dall'insegnamento del Concilio Vaticano II: « Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le società godono di leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e coordinare, allora è assolutamente necessario esigerla: questo ... è conforme al volere del Creatore. Infatti per la loro condizione di creature tutte le cose sono dotate di una propria consistenza, verità, bontà, di leggi e di ordine propri, che l'uomo deve rispettare, riconoscendo i metodi propri delle singole scienze o arti ». 48
46 Non c'è conflittualità tra Dio e l'uomo, ma un rapporto di amore in cui il mondo e i frutti dell'agire dell'uomo nel mondo sono oggetto di reciproco dono tra il Padre e i figli, e dei figli tra loro, in Cristo Gesù: in Lui e grazie a Lui, il mondo e l'uomo attingono il loro autentico ed originario significato. In una visione universale dell'amore di Dio che abbraccia tutto ciò che è, Dio stesso ci è rivelato in Cristo come Padre e donatore di vita, e l'uomo ci è rivelato come colui che, in Cristo, tutto accoglie da Dio come dono, in umiltà e libertà, e tutto veramente possiede come suo, quando sa e vive ogni cosa come di Dio, da Dio originata e a Dio finalizzata. A questo riguardo, il Concilio Vaticano II insegna: « Se... con l'espressione autonomia delle realtà temporali si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l'uomo può farne uso così da non rapportarle al Creatore, nessuno che riconosce Dio non avverte quanto siano fallaci tali opinioni. Senza il Creatore, la creatura viene meno ». 49
47 La persona umana, in se stessa e nella sua vocazione, trascende l'orizzonte dell'universo creato, della società e della storia: il suo fine ultimo è Dio stesso, 50 che si è rivelato agli uomini per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé:  51 « L'uomo non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie. Egli, in quanto persona, può donare se stesso ad un'altra persona o ad altre persone e, infine, a Dio, che è l'autore del suo essere ed è l'unico che può pienamente accogliere il suo dono ». 52 Per questa ragione, « è alienato l'uomo che rifiuta di trascendere se stesso e di vivere l'esperienza del dono di sé e della formazione di un'autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio. È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana ». 53
48 La persona umana non può e non deve essere strumentalizzata da strutture sociali, economiche e politiche, poiché ogni uomo ha la libertà di orientarsi verso il suo fine ultimo. D'altra parte, ogni realizzazione culturale, sociale, economica e politica, in cui storicamente si attuano la socialità della persona e la sua attività trasformatrice dell'universo, deve sempre essere considerata anche nel suo aspetto di realtà relativa e provvisoria, « perché passa la scena di questo mondo! » (1 Cor 7,31). Si tratta di una relatività escatologica, nel senso che l'uomo e il mondo vanno incontro alla fine, che è il compimento del loro destino in Dio; e di una relatività teologica, in quanto il dono di Dio, mediante cui si compirà il destino definitivo dell'umanità e della creazione, supera infinitamente le possibilità e le attese dell'uomo. Qualunque visione totalitaristica della società e dello Stato e qualunque ideologia puramente intra mondana del progresso sono contrarie alla verità integrale della persona umana e al disegno di Dio sulla storia.

IV. DISEGNO DI DIO E MISSIONE DELLA CHIESA

a) La Chiesa, segno e tutela della trascendenza della persona umana
49 La Chiesa, comunità di coloro che sono convocati da Gesù Cristo Risorto e si mettono alla Sua sequela, è « segno e tutela della trascendenza della persona umana ». 54 Essa « è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ». 55 La missione della Chiesa è quella di annunciare e comunicare la salvezza realizzata in Gesù Cristo, che Egli chiama « Regno di Dio » (Mc 1,15), cioè la comunione con Dio e tra gli uomini. Il fine della salvezza, il Regno di Dio, abbraccia tutti gli uomini e si realizzerà pienamente oltre la storia, in Dio. La Chiesa ha ricevuto « la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno costituisce sulla terra il germe e l'inizio ». 56
50 La Chiesa si pone concretamente al servizio del Regno di Dio innanzi tutto annunciando e comunicando il Vangelo della salvezza e costituendo delle nuove comunità cristiane. Essa, inoltre, « serve il Regno diffondendo nel mondo i "valori evangelici", che del Regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. È vero, dunque, che la realtà incipiente del Regno può trovarsi anche al di là dei confini della Chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i "valori evangelici" e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole (cfr. Gv 3,8); ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del Regno è incompleta, se non è coordinata col Regno di Cristo, presente nella Chiesa e proteso alla pienezza escatologica ». 57 Da ciò deriva, in particolare, che la Chiesa non si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. 58 La comunità politica e la Chiesa, nel proprio campo, infatti, sono indipendenti e autonome l'una dall'altra e sono entrambe, anche se a titolo diverso, « al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini ». 59 Si può anzi affermare che la distinzione fra religione e politica e il principio della libertà religiosa costituiscono un'acquisizione specifica del cristianesimo, di grande rilievo sul piano storico e culturale.
51 All'identità e alla missione della Chiesa nel mondo, secondo il progetto di Dio realizzato in Cristo, corrisponde « una finalità salvifica ed escatologica, che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro ». 60 Proprio per questo, la Chiesa offre un contributo originale e insostituibile con la sollecitudine che la spinge a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia e a porsi come baluardo contro ogni tentazione totalitaristica, additando all'uomo la sua integrale e definitiva vocazione. 61
Con la predicazione del Vangelo, la grazia dei sacramenti e l'esperienza della comunione fraterna, la Chiesa « risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della società umana e riveste di senso e di significato più profondo il lavoro quotidiano degli uomini ». 62 Sul piano delle concrete dinamiche storiche, l'avvento del Regno di Dio non si lascia cogliere, dunque, nella prospettiva di un'organizzazione sociale, economica e politica definita e definitiva. Esso, piuttosto, è testimoniato dallo sviluppo di una socialità umana che è per gli uomini lievito di realizzazione integrale, di giustizia e di solidarietà, nell'apertura al Trascendente come termine di riferimento per il proprio definitivo compimento personale.
b) Chiesa, Regno di Dio e rinnovamento dei rapporti sociali
52 Dio, in Cristo, non redime soltanto la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. Come insegna l'apostolo Paolo, la vita in Cristo fa emergere in modo pieno e nuovo l'identità e la socialità della persona umana, con le loro concrete conseguenze sul piano storico: « Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,26-28). In questa prospettiva, le comunità ecclesiali, convocate dal messaggio di Gesù Cristo e radunate nello Spirito Santo attorno a Lui risorto (cfr. Mt 18,20; 28,19-20; Lc 24,46-49), si propongono come luoghi di comunione, di testimonianza e di missione e come fermento di redenzione e di trasformazione dei rapporti sociali. La predicazione del Vangelo di Gesù induce i discepoli ad anticipare il futuro rinnovando i rapporti reciproci.
53 La trasformazione dei rapporti sociali rispondente alle esigenze del Regno di Dio non è stabilita nelle sue determinazioni concrete una volta per tutte. Si tratta, piuttosto, di un compito affidato alla comunità cristiana, che lo deve elaborare e realizzare attraverso la riflessione e la prassi ispirate dal Vangelo. È lo stesso Spirito del Signore, che conduce il popolo di Dio e insieme riempie l'universo, 63 a ispirare, di tempo in tempo, soluzioni nuove e attuali alla responsabile creatività degli uomini, 64 alla comunità dei cristiani inserita nel mondo e nella storia e perciò aperta al dialogo con tutte le persone di buona volontà, nella comune ricerca dei germi di verità e di libertà disseminati nel vasto campo dell'umanità. 65 La dinamica di tale rinnovamento va ancorata ai principi immutabili della legge naturale, impressa da Dio Creatore in ogni Sua creatura (cfr. Rm 2,14-15) e illuminata escatologicamente tramite Gesù Cristo.
54 Gesù Cristo ci rivela che « Dio è amore » (1 Gv 4,8) e ci insegna che « la legge fondamentale della perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. In questo modo assicura coloro che credono all'amore divino che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che lo sforzo per realizzare la fraternità universale non è vano ». 66 Tale legge è chiamata a diventare misura e regola ultima di tutte le dinamiche in cui si esplicano le relazioni umane. In sintesi, è lo stesso mistero di Dio, l'Amore trinitario, che fonda il significato e il valore della persona, della socialità e dell'agire umano nel mondo, in quanto è stato rivelato e partecipato all'umanità per mezzo di Gesù Cristo, nel Suo Spirito.
55 La trasformazione del mondo si presenta come un'istanza fondamentale anche del nostro tempo. A questa esigenza la dottrina sociale della Chiesa intende offrire le risposte che i segni dei tempi invocano, indicando innanzi tutto nell'amore reciproco tra gli uomini, sotto lo sguardo di Dio, lo strumento più potente di cambiamento, a livello personale e sociale. L'amore vicendevole, infatti, nella partecipazione all'amore infinito di Dio, è l'autentico fine, storico e trascendente, dell'umanità. Pertanto, « il progresso terreno, benché debba essere accuratamente distinto dallo sviluppo del Regno di Cristo, è di grande importanza per il Regno di Dio, in quanto può contribuire a meglio ordinare la società umana ». 67
c) Cieli nuovi e terra nuova
56 La promessa di Dio e la risurrezione di Gesù Cristo suscitano nei cristiani la fondata speranza che per tutte le persone umane è preparata una nuova ed eterna dimora, una terra in cui abita la giustizia (cfr. 2 Cor 5,1-2; 2 Pt 3,13): « Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato infermo e corruttibile rivestirà l'incorruzione; e, restando la carità e le sue opere, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta la creazione che Dio ha fatto per l'uomo ». 68 Questa speranza, anziché indebolire, deve piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla realtà presente.
57 I beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il Suo precetto, purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, appartengono al Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace che Cristo rimetterà al Padre e dove noi li ritroveremo. Risuoneranno allora per tutti, nella loro solenne verità, le parole di Cristo: « Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi ... ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25,34-36.40).
58 La compiuta realizzazione della persona umana, attuata in Cristo grazie al dono dello Spirito, matura nella storia ed è mediata dalle relazioni della persona con le altre persone, relazioni che, a loro volta, raggiungono la loro perfezione grazie all'impegno teso a migliorare il mondo, nella giustizia e nella pace. L'agire umano nella storia è di per sé significativo ed efficace per l'instaurazione definitiva del Regno, anche se questo resta dono di Dio, pienamente trascendente. Tale agire, quando è rispettoso dell'ordine oggettivo della realtà temporale e illuminato dalla verità e dalla carità, diventa strumento per un'attuazione sempre più piena e integrale della giustizia e della pace e anticipa nel presente il Regno promesso.
Conformandosi a Cristo Redentore, l'uomo si percepisce come creatura voluta da Dio e da Lui eternamente scelta, chiamata alla grazia e alla gloria, in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuta partecipe in Gesù Cristo. 69 La conformazione a Cristo e la contemplazione del Suo Volto  70 infondono nel cristiano un insopprimibile anelito ad anticipare in questo mondo, nell'ambito delle relazioni umane, ciò che sarà realtà nel definitivo, adoperandosi per dar da mangiare, da bere, da vestire, una casa, la cura, l'accoglienza e la compagnia al Signore che bussa alla porta (cfr. Mt 25, 35-37).
d) Maria e il Suo « fiat » al disegno d'amore di Dio
59 Erede della speranza dei giusti d'Israele e prima tra i discepoli di Gesù Cristo è Maria, Sua madre. Ella, col Suo « fiat » al disegno d'amore di Dio (cfr. Lc 1,38), a nome di tutta l'umanità, accoglie nella storia l'inviato del Padre, il Salvatore degli uomini: nel canto del « Magnificat » proclama l'avvento del Mistero della Salvezza, la venuta del « Messia dei poveri » (cfr. Is 11,4; 61,1). Il Dio dell'Alleanza, cantato nell'esultanza del Suo spirito dalla Vergine di Nazaret, è Colui che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote, disperde i superbi e conserva la Sua misericordia per coloro che Lo temono (cfr. Lc 1,50-53).
Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della Sua fede, espressa nelle parole del « Magnificat », i discepoli di Cristo sono chiamati a rinnovare sempre meglio in se stessi « la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù ». 71 Maria, totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di Lui con lo slancio della Sua fede, « è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo ». 72
 
  

CAPITOLO SECONDO
MISSIONE DELLA CHIESA E DOTTRINA SOCIALE
I. EVANGELIZZAZIONE E DOTTRINA SOCIALE

a) La Chiesa, dimora di Dio con gli uomini
60 La Chiesa, partecipe delle gioie e delle speranze, delle angosce e delle tristezze degli uomini, è solidale con ogni uomo ed ogni donna, d'ogni luogo e d'ogni tempo, e porta loro la lieta notizia del Regno di Dio, che con Gesù Cristo è venuto e viene in mezzo a loro. 73 Essa è, nell'umanità e nel mondo, il sacramento dell'amore di Dio e perciò della speranza più grande, che attiva e sostiene ogni autentico progetto e impegno di liberazione e promozione umana. La Chiesa è tra gli uomini la tenda della compagnia di Dio — « la dimora di Dio con gli uomini » (Ap 21,3) — cosicché l'uomo non è solo, smarrito o sgomento nel suo impegno di umanizzare il mondo, ma trova sostegno nell'amore redentore di Cristo. Essa è ministra di salvezza non astrattamente o in senso meramente spirituale, ma nel contesto della storia e del mondo in cui l'uomo vive, 74 dove è raggiunto dall'amore di Dio e dalla vocazione a corrispondere al progetto divino.
61 Unico ed irripetibile nella sua individualità, ogni uomo è un essere aperto alla relazione con gli altri nella società. Il convivere nella rete di rapporti che lega fra loro individui, famiglie, gruppi intermedi, in relazioni di incontro, di comunicazione e di scambio, assicura al vivere una qualità migliore. Il bene comune che gli uomini ricercano e conseguono formando la comunità sociale è garanzia del bene personale, familiare e associativo. 75 Per queste ragioni si origina e prende forma la società, con i suoi assetti strutturali, vale a dire politici, economici, giuridici, culturali. All'uomo, « in quanto inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne », 76 la Chiesa si rivolge con la sua dottrina sociale. « Esperta in umanità », 77 essa è in grado di comprenderlo nella sua vocazione e nelle sue aspirazioni, nei suoi limiti e nei suoi disagi, nei suoi diritti e nei suoi compiti, e di avere per lui una parola di vita da far risuonare nelle vicende storiche e sociali dell'esistenza umana.
b) Fecondare e fermentare la società con il Vangelo
62 Con il suo insegnamento sociale, la Chiesa intende annunciare ed attualizzare il Vangelo nella complessa rete delle relazioni sociali. Non si tratta semplicemente di raggiungere l'uomo nella società, l'uomo quale destinatario dell'annuncio evangelico, ma di fecondare e fermentare la società stessa con il Vangelo. 78 Prendersi cura dell'uomo, pertanto, significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica. La convivenza sociale spesso determina la qualità della vita e perciò le condizioni in cui ogni uomo e ogni donna comprendono se stessi e decidono di sé e della loro vocazione. Per questa ragione, la Chiesa non è indifferente a tutto ciò che nella società si sceglie, si produce e si vive, alla qualità morale, cioè autenticamente umana e umanizzante, della vita sociale. La società e con essa la politica, l'economia, il lavoro, il diritto, la cultura non costituiscono un ambito meramente secolare e mondano e perciò marginale ed estraneo al messaggio e all'economia della salvezza. La società, infatti, con tutto ciò che in essa si compie, riguarda l'uomo. Essa è la società degli uomini, che sono « la prima fondamentale via della Chiesa ». 79
63 Con la sua dottrina sociale la Chiesa si fa carico del compito di annuncio che il Signore le ha affidato. Essa attualizza nelle vicende storiche il messaggio di liberazione e di redenzione di Cristo, il Vangelo del Regno. La Chiesa, annunziando il Vangelo, « attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina ». 80
Vangelo che riecheggia mediante la Chiesa nell'oggi dell'uomo, 81 la dottrina sociale è parola che libera. Questo significa che ha l'efficacia di verità e di grazia dello Spirito di Dio, che penetra i cuori, disponendoli a coltivare pensieri e progetti di amore, di giustizia, di libertà e di pace. Evangelizzare il sociale è allora infondere nel cuore degli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell'uomo perché a misura di Cristo: è costruire una città dell'uomo più umana, perché più conforme al Regno di Dio.
64 La Chiesa, con la sua dottrina sociale, non solo non si discosta dalla propria missione, ma è strettamente fedele ad essa. La redenzione compiuta da Cristo e affidata alla missione salvifica della Chiesa è certamente di ordine soprannaturale. Questa dimensione non è espressione limitativa, bensì integrale della salvezza. 82 Il soprannaturale non è da concepire come un'entità o uno spazio che comincia dove finisce il naturale, ma come l'elevazione di questo, così che niente dell'ordine della creazione e dell'umano è estraneo ed escluso dall'ordine soprannaturale e teologale della fede e della grazia, ma piuttosto vi è riconosciuto, assunto ed elevato: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo (cfr. Gen 1,26-30) — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, "è stato sottomesso alla caducità" (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato (cfr. Rm 5,12-21) ». 83
65 La Redenzione comincia con l'Incarnazione, mediante cui il Figlio di Dio assume, eccetto il peccato, tutto dell'uomo, secondo le solidarietà istituite dalla Sapienza creatrice divina, e tutto coinvolge nel Suo dono d'Amore redentore. Da questo Amore l'uomo è raggiunto nell'interezza del suo essere: essere corporeo e spirituale, in relazione solidale con gli altri. Tutto l'uomo — non un'anima separata o un essere chiuso nella sua individualità, ma la persona e la società delle persone — è implicato nell'economia salvifica del Vangelo. Portatrice del messaggio d'Incarnazione e di Redenzione del Vangelo, la Chiesa non può percorrere altra via: con la sua dottrina sociale e con l'azione efficace che essa attiva, non solo non stempera il suo volto e la sua missione, ma è fedele a Cristo e si rivela agli uomini come « sacramento universale di salvezza ». 84 Ciò è particolarmente vero in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una crescente interdipendenza e da una mondializzazione delle questioni sociali.
c) Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana
66 La dottrina sociale è parte integrante del ministero di evangelizzazione della Chiesa. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini — situazioni e problemi relativi alla giustizia, alla liberazione, allo sviluppo, alle relazioni tra i popoli, alla pace — non è estraneo all'evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell'uomo. 85 Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi: « Legami di ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere, e della giustizia da restaurare. Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l'autentica crescita dell'uomo? ». 86
67 La dottrina sociale « ha di per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione »  87 e si sviluppa nell'incontro sempre rinnovato tra il messaggio evangelico e la storia umana. Così compresa, tale dottrina è via peculiare per l'esercizio del ministero della Parola e della funzione profetica della Chiesa:  88 « per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore ». 89 Non siamo in presenza di un interesse o di un'azione marginale, che si aggiunge alla missione della Chiesa, ma al cuore stesso della sua ministerialità: con la dottrina sociale la Chiesa « annuncia Dio e il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e, per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso ». 90 È, questo, un ministero che procede non solo dall'annuncio, ma anche dalla testimonianza.
68 La Chiesa non si fa carico della vita in società sotto ogni aspetto, ma con la competenza sua propria, che è quella dell'annuncio di Cristo Redentore:  91 « La missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa derivano un compito, una luce e delle forze che possono servire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina ». 92 Questo vuol dire che la Chiesa, con la sua dottrina sociale, non entra in questioni tecniche e non istituisce né propone sistemi o modelli di organizzazione sociale:  93 ciò non attiene alla missione che Cristo le ha affidato. La Chiesa ha la competenza attinta al Vangelo: al messaggio di liberazione dell'uomo annunciato e testimoniato dal Figlio di Dio fatto uomo.
d) Diritto e dovere della Chiesa
69 Con la sua dottrina sociale la Chiesa « si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza »:  94 si tratta del suo fine precipuo ed unico. Non ci sono altri scopi tesi a surrogare o ad invadere compiti altrui, trascurando i propri, o a perseguire obiettivi estranei alla sua missione. Tale missione configura il diritto e insieme il dovere della Chiesa di elaborare una propria dottrina sociale e di incidere con essa sulla società e sulle sue strutture, mediante le responsabilità e i compiti che questa dottrina suscita.
70 La Chiesa ha il diritto di essere per l'uomo maestra di verità della fede: della verità non solo del dogma, ma anche della morale che scaturisce dalla stessa natura umana e dal Vangelo. 95 La parola del Vangelo, infatti, non va solo ascoltata, ma anche messa in pratica (cfr. Mt 7,24; Lc 6,46-47; Gv 14,21.23-24; Gc 1,22): la coerenza nei comportamenti manifesta l'adesione del credente e non è circoscritta all'ambito strettamente ecclesiale e spirituale, ma coinvolge l'uomo in tutto il suo vissuto e secondo tutte le sue responsabilità. Per quanto secolari, queste hanno come soggetto l'uomo, vale a dire colui che Dio chiama, mediante la Chiesa, a partecipare al Suo dono salvifico.
Al dono della salvezza l'uomo deve corrispondere non con un'adesione parziale, astratta o verbale, ma con tutta la propria vita, secondo tutte le relazioni che la connotano, così da non abbandonare nulla ad un ambito profano e mondano, irrilevante o estraneo alla salvezza. Per questo la dottrina sociale non è per la Chiesa un privilegio, una digressione, una convenienza o un'ingerenza: è un suo diritto evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola liberante del Vangelo nel complesso mondo della produzione, del lavoro, dell'imprenditoria, della finanza, del commercio, della politica, della giurisprudenza, della cultura, delle comunicazioni sociali, in cui vive l'uomo.
71 Questo diritto è nel contempo un dovere, perché la Chiesa non vi può rinunciare senza smentire se stessa e la sua fedeltà a Cristo: « Guai a me se non predicassi il vangelo! » (1 Cor 9,16). L'ammonimento che san Paolo rivolge a se stesso risuona nella coscienza della Chiesa come un richiamo a percorrere tutte le vie dell'evangelizzazione; non solo quelle che portano alle coscienze individuali, ma anche quelle che conducono alle istituzioni pubbliche: da un lato non si deve « costringere erroneamente il fatto religioso alla sfera puramente privata », 96 da un altro lato non si può orientare il messaggio cristiano verso una salvezza puramente ultraterrena, incapace di illuminare la presenza sulla terra. 97
Per la rilevanza pubblica del Vangelo e della fede e per gli effetti perversi dell'ingiustizia, cioè del peccato, la Chiesa non può restare indifferente alle vicende sociali:  98 « è compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ». 99
   

II. LA NATURA DELLA DOTTRINA SOCIALE

a) Un conoscere illuminato dalla fede
72 La dottrina sociale non è stata pensata da principio come un sistema organico, ma si è formata nel corso del tempo, attraverso i numerosi interventi del Magistero sui temi sociali. Tale genesi rende comprensibile il fatto che siano potute intervenire alcune oscillazioni circa la natura, il metodo e la struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa. Preceduto da un significativo accenno nella « Laborem exercens », 100 un chiarimento decisivo in tal senso è contenuto nell'enciclica « Sollicitudo rei socialis »: la dottrina sociale della Chiesa « appartiene... non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale ». 101 Essa non è definibile secondo parametri socio-economici. Non è un sistema ideologico o prammatico, teso a definire e comporre i rapporti economici, politici e sociali, ma una categoria a sé: essa è « l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano ». 102
73 La dottrina sociale, pertanto, è di natura teologica, e specificamente teologico-morale, « trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone »:  103 « Essa si situa all'incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia ». 104 La dottrina sociale riflette, di fatto, i tre livelli dell'insegnamento teologico-morale: quello fondativo delle motivazioni; quello direttivo delle norme del vivere sociale; quello deliberativo delle coscienze, chiamate a mediare le norme oggettive e generali nelle concrete e particolari situazioni sociali. Questi tre livelli definiscono implicitamente anche il metodo proprio e la specifica struttura epistemologica della dottrina sociale della Chiesa.
74 La dottrina sociale trova il suo fondamento essenziale nella Rivelazione biblica e nella Tradizione della Chiesa. A questa sorgente, che viene dall'alto, essa attinge l'ispirazione e la luce per comprendere, giudicare e orientare l'esperienza umana e la storia. Prima e al di sopra di tutto sta il progetto di Dio sul creato e, in particolare, sulla vita e sul destino dell'uomo chiamato alla comunione trinitaria.
La fede, che accoglie la parola divina e la mette in pratica, interagisce efficacemente con la ragione. L'intelligenza della fede, in particolare della fede orientata alla prassi, è strutturata dalla ragione e si avvale di tutti i contributi che questa le offre. Anche la dottrina sociale, in quanto sapere applicato alla contingenza e alla storicità della prassi, coniuga insieme « fides et ratio »  105 ed è espressione eloquente del loro fecondo rapporto.
75 La fede e la ragione costituiscono le due vie conoscitive della dottrina sociale, essendo due le fonti alle quali essa attinge: la Rivelazione e la natura umana. Il conoscere della fede comprende e dirige il vissuto dell'uomo nella luce del mistero storico-salvifico, del rivelarsi e donarsi di Dio in Cristo per noi uomini. Questa intelligenza della fede include la ragione, mediante la quale essa, per quanto possibile, spiega e comprende la verità rivelata e la integra con la verità della natura umana, attinta al progetto divino espresso dalla creazione, 106 ossia la verità integrale della persona in quanto essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, con gli altri esseri umani e con le altre creature. 107
La centratura sul mistero di Cristo, pertanto, non indebolisce o esclude il ruolo della ragione e perciò non priva la dottrina sociale di plausibilità razionale e, quindi, della sua destinazione universale. Poiché il mistero di Cristo illumina il mistero dell'uomo, la ragione dà pienezza di senso alla comprensione della dignità umana e delle esigenze morali che la tutelano. La dottrina sociale è un conoscere illuminato dalla fede, che — proprio perché tale — esprime una maggiore capacità di conoscenza. Essa dà ragione a tutti delle verità che afferma e dei doveri che comporta: può trovare accoglienza e condivisione da parte di tutti.
b) In dialogo cordiale con ogni sapere
76 La dottrina sociale della Chiesa si giova di tutti i contributi conoscitivi, da qualunque sapere provengano, e possiede un'importante dimensione interdisciplinare: « Per incarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi e continuamente cangianti l'unica verità sull'uomo, tale dottrina entra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell'uomo, ne integra in sé gli apporti ». 108 La dottrina sociale si avvale dei contributi di significato della filosofia e altrettanto dei contributi descrittivi delle scienze umane.
77 Essenziale è, anzitutto, l'apporto della filosofia, già emerso dal richiamo alla natura umana quale fonte e alla ragione quale via conoscitiva della stessa fede. Mediante la ragione, la dottrina sociale assume la filosofia nella sua stessa logica interna, ossia nell'argomentare che le è proprio.
Affermare che la dottrina sociale è da ascrivere alla teologia piuttosto che alla filosofia non significa disconoscere o sottovalutare il ruolo e l'apporto filosofico. La filosofia, infatti, è strumento idoneo e indispensabile ad una corretta comprensione di concetti basilari della dottrina sociale — quali la persona, la società, la libertà, la coscienza, l'etica, il diritto, la giustizia, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, lo Stato —, comprensione tale da ispirare un'armonica convivenza sociale. È ancora la filosofia a far risaltare la plausibilità razionale della luce che il Vangelo proietta sulla società e a sollecitare l'apertura e l'assenso alla verità di ogni intelligenza e coscienza.
78 Un significativo contributo alla dottrina sociale della Chiesa proviene anche dalle scienze umane e sociali: 109 nessun sapere è escluso, per la parte di verità di cui è portatore. La Chiesa riconosce e accoglie tutto ciò che contribuisce alla comprensione dell'uomo nella sempre più estesa, mutevole e complessa rete delle relazioni sociali. Essa è consapevole del fatto che ad una profonda conoscenza dell'uomo non si perviene con la sola teologia, senza i contributi di molti saperi, ai quali la teologia stessa fa riferimento.
L'apertura attenta e costante alle scienze fa acquisire alla dottrina sociale competenze, concretezza e attualità. Grazie ad esse, la Chiesa può comprendere in modo più preciso l'uomo nella società, parlare agli uomini del proprio tempo in modo più convincente e adempiere più efficacemente il suo compito di incarnare, nella coscienza e nella sensibilità sociale del nostro tempo, la Parola di Dio e la fede, dalla quale la dottrina sociale « prende avvio ». 110
Tale dialogo interdisciplinare sollecita anche le scienze a cogliere le prospettive di significato, di valore e di impegno che la dottrina sociale dischiude e ad « aprirsi verso un orizzonte più ampio al servizio della singola persona, conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione ». 111
c) Espressione del ministero d'insegnamento della Chiesa
79 La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale — sacerdoti, religiosi e laici — concorre a costituire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno.
I contributi molteplici e multiformi — espressioni anch'essi del « soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo » 112 — sono assunti, interpretati e unificati dal Magistero, che promulga l'insegnamento sociale come dottrina della Chiesa. Il Magistero compete, nella Chiesa, a coloro che sono investiti del « munus docendi », ossia del ministero di insegnare nel campo della fede e della morale con l'autorità ricevuta da Cristo. La dottrina sociale non è solo il frutto del pensiero e dell'opera di persone qualificate, ma è il pensiero della Chiesa, in quanto è opera del Magistero, il quale insegna con l'autorità che Cristo ha conferito agli Apostoli e ai loro successori: il Papa e i Vescovi in comunione con lui. 113
80 Nella dottrina sociale della Chiesa è in atto il Magistero in tutte le sue componenti ed espressioni. Primario è il Magistero universale del Papa e del Concilio: è questo Magistero a determinare l'indirizzo e a segnare lo sviluppo della dottrina sociale. Esso, a sua volta, è integrato da quello episcopale, che ne specifica, traduce e attualizza l'insegnamento nella concretezza e peculiarità delle molteplici e diverse situazioni locali. 114 L'insegnamento sociale dei Vescovi offre validi contributi e stimoli al magistero del Romano Pontefice. Si attua in questo modo una circolarità, che esprime di fatto la collegialità dei Pastori uniti al Papa nell'insegnamento sociale della Chiesa. Il complesso dottrinale che ne risulta comprende ed integra l'insegnamento universale dei Papi e quello particolare dei Vescovi.
In quanto parte dell'insegnamento morale della Chiesa, la dottrina sociale riveste la medesima dignità ed ha la stessa autorevolezza di tale insegnamento. Essa è Magistero autentico, che esige l'accettazione e l'adesione dei fedeli. 115 Il peso dottrinale dei diversi insegnamenti e l'assenso che richiedono vanno valutati in funzione della loro natura, del loro grado di indipendenza da elementi contingenti e variabili e della frequenza con cui sono richiamati. 116
d) Per una società riconciliata nella giustizia e nell'amore
81 L'oggetto della dottrina sociale è essenzialmente lo stesso che ne costituisce la ragion d'essere: l'uomo chiamato alla salvezza e come tale affidato da Cristo alla cura e alla responsabilità della Chiesa. 117 Con la sua dottrina sociale, la Chiesa si preoccupa della vita umana nella società, nella consapevolezza che dalla qualità del vissuto sociale, ossia delle relazioni di giustizia e di amore che lo intessono, dipende in modo decisivo la tutela e la promozione delle persone, per le quali ogni comunità è costituita. Nella società, infatti, sono in gioco la dignità e i diritti della persona e la pace nelle relazioni tra persone e tra comunità di persone. Beni, questi, che la comunità sociale deve perseguire e garantire.
In tale prospettiva, la dottrina sociale assolve un compito di annuncio e anche di denuncia.
Anzitutto l'annuncio di ciò che la Chiesa possiede di proprio: « una visione globale dell'uomo e dell'umanità », 118 ad un livello non solo teorico, ma pratico. La dottrina sociale, infatti, non offre soltanto significati, valori e criteri di giudizio, ma anche le norme e le direttive d'azione che ne derivano. 119 Con tale dottrina, la Chiesa non persegue fini di strutturazione e organizzazione della società, ma di sollecitazione, indirizzo e formazione delle coscienze.
La dottrina sociale comporta pure un compito di denuncia, in presenza del peccato: è il peccato d'ingiustizia e di violenza che in vario modo attraversa la società e in essa prende corpo. 120 Tale denuncia si fa giudizio e difesa dei diritti disconosciuti e violati, specialmente dei diritti dei poveri, dei piccoli, dei deboli, 121 e tanto più si intensifica quanto più le ingiustizie e le violenze si estendono, coinvolgendo intere categorie di persone e ampie aree geografiche del mondo, e danno luogo a questioni sociali ossia a soprusi e squilibri che sconvolgono le società. Gran parte dell'insegnamento sociale della Chiesa è sollecitato e determinato dalle grandi questioni sociali, di cui vuole essere risposta di giustizia sociale.
82 L'intento della dottrina sociale è di ordine religioso e morale. 122 Religioso perché la missione evangelizzatrice e salvifica della Chiesa abbraccia l'uomo « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale ». 123 Morale perché la Chiesa mira ad un « umanesimo plenario », 124 vale a dire alla « liberazione da tutto ciò che opprime l'uomo »  125 e allo « sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini ». 126 La dottrina sociale traccia le vie da percorrere verso una società riconciliata ed armonizzata nella giustizia e nell'amore, anticipatrice nella storia, in modo incoativo e prefigurativo, di « nuovi cieli e... terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia » (2 Pt 3,13).
e) Un messaggio per i figli della Chiesa e per l'umanità
83 Prima destinataria della dottrina sociale è la comunità ecclesiale in tutti i suoi membri, perché tutti hanno responsabilità sociali da assumere. La coscienza è interpellata dall'insegnamento sociale per riconoscere e adempiere i doveri di giustizia e di carità nella vita sociale. Tale insegnamento è luce di verità morale, che suscita appropriate risposte secondo la vocazione e il ministero di ciascun cristiano. Nei compiti di evangelizzazione, vale a dire di insegnamento, di catechesi e di formazione, che la dottrina sociale della Chiesa suscita, essa è destinata ad ogni cristiano, secondo le competenze, i carismi, gli uffici e la missione di annuncio propri di ciascuno. 127
La dottrina sociale implica altresì responsabilità relative alla costruzione, all'organizzazione e al funzionamento della società: obblighi politici, economici, amministrativi, vale a dire di natura secolare, che appartengono ai fedeli laici, non ai sacerdoti e ai religiosi. 128 Tali responsabilità competono ai laici in modo peculiare, in ragione della condizione secolare del loro stato di vita e dell'indole secolare della loro vocazione:  129 mediante tali responsabilità, i laici mettono in opera l'insegnamento sociale e adempiono la missione secolare della Chiesa. 130
84 Oltre la destinazione, primaria e specifica, ai figli della Chiesa, la dottrina sociale ha una destinazione universale. La luce del Vangelo, che la dottrina sociale riverbera sulla società, illumina tutti gli uomini, ed ogni coscienza e intelligenza sono in grado di cogliere la profondità umana dei significati e dei valori da essa espressi e la carica di umanità e di umanizzazione delle sue norme d'azione. Sicché tutti, in nome dell'uomo, della sua dignità una e unica e della sua tutela e promozione nella società, tutti, in nome dell'unico Dio, Creatore e fine ultimo dell'uomo, sono destinatari della dottrina sociale della Chiesa. 131 La dottrina sociale è un insegnamento espressamente rivolto a tutti gli uomini di buona volontà  132 e, infatti, è ascoltato dai membri delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, dai seguaci di altre tradizioni religiose e da persone che non fanno parte di alcun gruppo religioso.
f) Nel segno della continuità e del rinnovamento
85 Orientata dalla luce perenne del Vangelo e costantemente attenta all'evoluzione della società, la dottrina sociale è caratterizzata da continuità e da rinnovamento. 133
Essa manifesta anzitutto la continuità di un insegnamento che si richiama ai valori universali che derivano dalla Rivelazione e dalla natura umana. Per tale motivo la dottrina sociale non dipende dalle diverse culture, dalle differenti ideologie, dalle varie opinioni: essa è un insegnamento costante, che « si mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi "principi di riflessione", nei suoi "criteri di giudizio", nelle sue basilari "direttrici di azione" e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore ». 134 In questo suo nucleo portante e permanente la dottrina sociale della Chiesa attraversa la storia senza subirne i condizionamenti e non corre il rischio del dissolvimento.
D'altra parte, nel suo costante volgersi alla storia lasciandosi interpellare dagli eventi che in essa si producono, la dottrina sociale della Chiesa manifesta una capacità di continuo rinnovamento. La fermezza nei principi non ne fa un sistema d'insegnamenti rigido, ma un Magistero in grado di aprirsi alle cose nuove, senza snaturarsi in esse:  135 un insegnamento « soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle situazioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove la vita degli uomini e delle società ». 136
86 La dottrina sociale si presenta come un « cantiere » sempre aperto, in cui la verità perenne penetra e permea la novità contingente, tracciando vie di giustizia e di pace. La fede non presume d'imprigionare in uno schema chiuso la mutevole realtà socio-politica. 137 È vero piuttosto il contrario: la fede è fermento di novità e creatività. L'insegnamento che da essa prende continuamente avvio « si sviluppa attraverso una riflessione a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento ». 138
Madre e Maestra, la Chiesa non si chiude e non si ritrae in se stessa, ma è sempre esposta, protesa e rivolta verso l'uomo, il cui destino di salvezza è la propria ragion d'essere. Essa è tra gli uomini l'icona vivente del Buon Pastore, che va a cercare e a trovare l'uomo là dov'egli è, nella condizione esistenziale e storica del suo vissuto. Qui la Chiesa gli si fa incontro con il Vangelo, messaggio di liberazione e di riconciliazione, di giustizia e di pace.

III. LA DOTTRINA SOCIALE NEL NOSTRO TEMPO: CENNI STORICI

a) L'avvio di un nuovo cammino
87 La locuzione dottrina sociale risale a Pio XI  139 e designa il « corpus » dottrinale riguardante temi di rilevanza sociale che, a partire dall'enciclica « Rerum novarum »  140 di Leone XIII, si è sviluppato nella Chiesa attraverso il Magistero dei Romani Pontefici e dei Vescovi in comunione con essi. 141 La sollecitudine sociale non ha avuto certamente inizio con tale documento, perché la Chiesa non si è mai disinteressata della società; nondimeno, l'enciclica « Rerum novarum » dà l'avvio ad un nuovo cammino: innestandosi su una tradizione plurisecolare, essa segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell'insegnamento in campo sociale. 142
Nella sua continua attenzione per l'uomo nella società, la Chiesa ha accumulato così un ricco patrimonio dottrinale. Esso ha le sue radici nella Sacra Scrittura, specialmente nel Vangelo e negli scritti apostolici, ed ha preso forma e corpo a partire dai Padri della Chiesa e dai grandi Dottori del Medio Evo, costituendo una dottrina in cui, pur senza espliciti e diretti interventi a livello magisteriale, la Chiesa si è via via riconosciuta.
88 Gli eventi di natura economica che si produssero nel XIX secolo ebbero conseguenze sociali, politiche e culturali dirompenti. Gli avvenimenti collegati alla rivoluzione industriale sovvertirono secolari assetti sociali, sollevando gravi problemi di giustizia e ponendo la prima grande questione sociale, la questione operaia, suscitata dal conflitto tra capitale e lavoro. In tale quadro la Chiesa avvertì la necessità di dover intervenire in modo nuovo: le « res novae », costituite da quegli eventi, rappresentavano una sfida al suo insegnamento e motivavano una speciale sollecitudine pastorale verso larghe masse di uomini e di donne. Occorreva un rinnovato discernimento della situazione, in grado di delineare soluzioni appropriate a problemi inconsueti e inesplorati.
b) Dalla « Rerum novarum » ai nostri giorni
89 In risposta alla prima grande questione sociale, Leone XIII promulga la prima enciclica sociale, la « Rerum novarum ». 143 Essa prende in esame la condizione dei lavoratori salariati, particolarmente penosa per gli operai delle industrie, afflitti da un'indegna miseria. La questione operaia viene trattata secondo la sua reale ampiezza: essa è esplorata in tutte le sue articolazioni sociali e politiche, per essere adeguatamente valutata alla luce dei principi dottrinali fondati sulla Rivelazione, sulla legge e sulla morale naturale.
La «
Rerum novarum » elenca gli errori che provocano il male sociale, esclude il socialismo come rimedio ed espone, precisandola e attualizzandola, « la dottrina cattolica sul lavoro, sul diritto di proprietà, sul principio di collaborazione contrapposto alla lotta di classe come mezzo fondamentale per il cambiamento sociale, sul diritto dei deboli, sulla dignità dei poveri e sugli obblighi dei ricchi, sul perfezionamento della giustizia mediante la carità, sul diritto ad avere associazioni professionali ». 144
La «
Rerum novarum » è diventata il documento ispirativo e di riferimento dell'attività cristiana in campo sociale. 145 Il tema centrale dell'Enciclica è quello dell'instaurazione di un ordine sociale giusto, in vista del quale è doveroso individuare dei criteri di giudizio che aiutino a valutare gli ordinamenti socio-politici esistenti e a prospettare linee d'azione per una loro opportuna trasformazione.
90 La «
Rerum novarum » ha affrontato la questione operaia con un metodo che diventerà « un paradigma permanente »  146 per gli sviluppi successivi della dottrina sociale. I principi affermati da Leone XIII saranno ripresi e approfonditi dalle encicliche sociali successive. Tutta la dottrina sociale potrebbe essere intesa come un'attualizzazione, un approfondimento ed un'espansione del nucleo originario di principi esposti nella « Rerum novarum ». Con questo testo, coraggioso e lungimirante, Leone XIII « conferì alla Chiesa quasi uno "statuto di cittadinanza" nelle mutevoli realtà della vita pubblica »  147 e « scrisse una parola decisiva », 148 che divenne « un elemento permanente della dottrina sociale della Chiesa », 149 affermando che i gravi problemi sociali « potevano essere risolti soltanto mediante la collaborazione tra tutte le forze »  150 e aggiungendo anche: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mai mancare in nessun modo l'opera sua ». 151
91 All'inizio degli anni Trenta, a ridosso della grave crisi economica del 1929, Pio XI pubblica l'enciclica «
Quadragesimo anno », 152 commemorativa dei quarant'anni della « Rerum novarum ». Il Papa rilegge il passato alla luce di una situazione economico-sociale in cui all'industrializzazione si era aggiunta l'espansione del potere dei gruppi finanziari, in ambito nazionale ed internazionale. Era il periodo post-bellico, in cui si andavano affermando in Europa i regimi totalitari, mentre si inaspriva la lotta di classe. L'Enciclica ammonisce sul mancato rispetto della libertà di associazione e ribadisce i principi di solidarietà e di collaborazione per superare le antinomie sociali. I rapporti tra capitale e lavoro devono essere all'insegna della cooperazione. 153
La «
Quadragesimo anno » ribadisce il principio che il salario deve essere proporzionato non solo alle necessità del lavoratore, ma anche a quelle della sua famiglia. Lo Stato, nei rapporti col settore privato, deve applicare il principio di sussidiarietà, principio che diverrà un elemento permanente della dottrina sociale. L'Enciclica rifiuta il liberalismo inteso come illimitata concorrenza delle forze economiche, ma riconferma il valore della proprietà privata, richiamandone la funzione sociale. In una società da ricostruire fin dalle basi economiche, che diventa essa stessa e tutta intera « la questione » da affrontare, « Pio XI sentì il dovere e la responsabilità di promuovere una maggiore conoscenza, una più esatta interpretazione e una urgente applicazione della legge morale regolativa dei rapporti umani..., allo scopo di superare il conflitto delle classi e di arrivare a un nuovo ordine sociale basato sulla giustizia e sulla carità ». 154
92 Pio XI non mancò di far sentire la sua voce contro i regimi totalitari che durante il suo pontificato si affermarono in Europa. Già il 29 giugno 1931 aveva protestato contro le sopraffazioni del regime fascista in Italia con l'enciclica « Non abbiamo bisogno ». 155 Nel 1937 pubblicò l'enciclica «
Mit brennender Sorge », 156 sulla situazione della Chiesa Cattolica nel Reich germanico. Il testo della « lt Mit brennender Sorge » fu letto dal pulpito di tutte le chiese cattoliche in Germania, dopo essere stato diffuso nella massima segretezza. L'Enciclica giungeva dopo anni di soprusi e di violenze ed era stata espressamente richiesta a Pio XI dai Vescovi tedeschi, in seguito alle misure sempre più coercitive e repressive adottate dal Reich nel 1936, in particolare nei confronti dei giovani, obbligati ad iscriversi alla « Gioventù hitleriana ». Il Papa si rivolge ai sacerdoti e ai religiosi, ai fedeli laici, per incoraggiarli e chiamarli alla resistenza, fino a quando una vera pace tra la Chiesa e lo Stato non sia ristabilita. Nel 1938, davanti al diffondersi dell'antisemitismo, Pio XI affermò: « Siamo spiritualmente semiti ». 157
Con l'enciclica « Divini Redemptoris », 158 sul comunismo ateo e sulla dottrina sociale cristiana, Pio XI criticò in modo sistematico il comunismo, definito « intrinsecamente perverso », 159 e indicò come mezzi principali per porre rimedio ai mali da esso prodotti, il rinnovamento della vita cristiana, l'esercizio della carità evangelica, l'adempimento dei doveri di giustizia a livello interpersonale e sociale in ordine al bene comune, l'istituzionalizzazione di corpi professionali e inter-professionali.
93 I Radiomessaggi natalizi di Pio XII, 160 insieme ad altri importanti interventi in materia sociale, approfondiscono la riflessione magisteriale su un nuovo ordine sociale, governato dalla morale e dal diritto e centrato sulla giustizia e sulla pace. Durante il suo pontificato, Pio XII attraversò gli anni terribili della Seconda Guerra Mondiale e quelli difficili della ricostruzione. Egli non pubblicò encicliche sociali, tuttavia manifestò costantemente, in numerosissimi contesti, la sua preoccupazione per l'ordine internazionale sconvolto: « Negli anni della guerra e del dopoguerra, il Magistero sociale di Pio XII rappresentò per molti popoli di tutti i continenti e per milioni di credenti e di non credenti la voce della coscienza universale, interpretata e proclamata in intima connessione con la Parola di Dio. Con la sua autorità morale e il suo prestigio, Pio XII portò la luce della sapienza cristiana a innumerevoli uomini di ogni categoria e livello sociale ». 161
Una delle caratteristiche degli interventi di Pio XII sta nel rilievo dato al rapporto tra morale e diritto. Il Papa insiste sulla nozione di diritto naturale, come anima dell'ordinamento che va instaurato sul piano sia nazionale sia internazionale. Un altro aspetto importante dell'insegnamento di Pio XII sta nella sua attenzione per le categorie professionali e imprenditoriali, chiamate a concorrere in special modo al raggiungimento del bene comune: « Per la sua sensibilità e intelligenza nel cogliere i "segni dei tempi", Pio XII può considerarsi il precursore immediato del Concilio Vaticano II e dell'insegnamento sociale dei Papi che gli sono succeduti ». 162
94 Gli anni Sessanta aprono orizzonti promettenti: la ripresa dopo le devastazioni della guerra, l'inizio della decolonizzazione, i primi timidi segnali di un disgelo nei rapporti tra i due blocchi, americano e sovietico. In questo clima, il beato Giovanni XXIII legge in profondità i « segni dei tempi ». 163 La questione sociale si sta universalizzando e coinvolge tutti i Paesi: accanto alla questione operaia e alla rivoluzione industriale, si delineano i problemi dell'agricoltura, delle aree in via di sviluppo, dell'incremento demografico e quelli relativi alla necessità di una cooperazione economica mondiale. Le disuguaglianze, in precedenza avvertite all'interno delle Nazioni, appaiono a livello internazionale e fanno emergere con sempre maggiore chiarezza la situazione drammatica in cui si trova il Terzo Mondo.
Giovanni XXIII, nell'enciclica « Mater et magistra », 164 « mira ad aggiornare i documenti già conosciuti e a fare un ulteriore passo in avanti nel processo di coinvolgimento di tutta la comunità cristiana ». 165 Le parole-chiave dell'Enciclica sono comunità e socializzazione: 166 la Chiesa è chiamata, nella verità, nella giustizia e nell'amore, a collaborare con tutti gli uomini per costruire un'autentica comunione. Per tale via la crescita economica non si limiterà a soddisfare i bisogni degli uomini, ma potrà promuovere anche la loro dignità.
95 Con l'enciclica «
Pacem in terris », 167 Giovanni XXIII mette in evidenza il tema della pace, in un'epoca segnata dalla proliferazione nucleare. La « Pacem in terris » contiene, inoltre, una prima approfondita riflessione della Chiesa sui diritti; è l'Enciclica della pace e della dignità umana. Essa prosegue e completa il discorso della « lt Mater et magistra » e, nella direzione indicata da Leone XIII, sottolinea l'importanza della collaborazione tra tutti: è la prima volta che un documento della Chiesa viene indirizzato anche « a tutti gli uomini di buona volontà », 168 che vengono chiamati a un « compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà ». 169 La « lt Pacem in terris » si sofferma sui pubblici poteri della comunità mondiale, chiamati ad « affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico, sociale, politico, culturale che pone il bene comune universale ». 170 Nel decimo anniversario della « lt Pacem in terris », il Cardinale Maurice Roy, Presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace, inviò a Paolo VI una Lettera unitamente a un Documento con una serie di riflessioni sulla capacità dell'insegnamento dell'Enciclica giovannea di illuminare i problemi nuovi connessi con la promozione della pace. 171
96 La Costituzione pastorale «
Gaudium et spes », 172 del Concilio Vaticano II, costituisce una significativa risposta della Chiesa alle attese del mondo contemporaneo. In tale Costituzione, « in sintonia con il rinnovamento ecclesiologico, si riflette una nuova concezione di essere comunità dei credenti e popolo di Dio. Essa ha suscitato quindi nuovo interesse per la dottrina contenuta nei documenti precedenti circa la testimonianza e la vita dei cristiani, come vie autentiche per rendere visibile la presenza di Dio nel mondo ». 173 La « Gaudium et spes » traccia il volto di una Chiesa « intimamente solidale con il genere umano e la sua storia », 174 che cammina con tutta l'umanità ed è soggetta insieme al mondo alla medesima sorte terrena, ma che al tempo stesso è « come fermento e quasi anima della società umana, per rinnovarla in Cristo e trasformarla in famiglia di Dio ». 175
La «
Gaudium et spes » affronta organicamente i temi della cultura, della vita economico-sociale, del matrimonio e della famiglia, della comunità politica, della pace e della comunità dei popoli, alla luce della visione antropologica cristiana e della missione della Chiesa. Tutto è considerato a partire dalla persona e in direzione della persona: « la sola creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa ». 176 La società, le sue strutture e il suo sviluppo devono essere finalizzati al « perfezionamento della persona umana ». 177 Per la prima volta il Magistero della Chiesa, al suo più alto livello, si esprime in modo così ampio sui diversi aspetti temporali della vita cristiana: « Si deve riconoscere che l'attenzione data dalla Costituzione ai cambiamenti sociali, psicologici, politici, economici, morali e religiosi ha stimolato sempre più... la preoccupazione pastorale della Chiesa per i problemi degli uomini e il dialogo con il mondo ». 178
97 Un altro documento del Concilio Vaticano II molto importante nel « corpus » della dottrina sociale della Chiesa è la dichiarazione «
Dignitatis humanae », 179 in cui si proclama il diritto alla libertà religiosa. Il documento tratta il tema in due capitoli. Nel primo, di carattere generale, si afferma che il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla dignità della persona umana e che deve essere sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società. Il secondo capitolo affronta il tema alla luce della Rivelazione e ne chiarisce le implicazioni pastorali, ricordando che si tratta di un diritto riguardante non solo le singole persone, ma anche le diverse comunità.
98 « Lo sviluppo è il nuovo nome della pace », 180 afferma Paolo VI nell'enciclica «
Populorum progressio », 181 che può essere considerata come un ampliamento del capitolo sulla vita economico-sociale della « Gaudium et spes », nonostante introduca alcune significative novità. In particolare, il documento traccia le coordinate di uno sviluppo integrale dell'uomo e di uno sviluppo solidale dell'umanità: « due tematiche queste che sono da considerarsi come gli assi intorno ai quali si struttura il tessuto dell'Enciclica. Volendo convincere i destinatari dell'urgenza di un'azione solidale, il Papa presenta lo sviluppo come "il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane" e ne specifica le caratteristiche ». 182 Tale passaggio non è circoscritto alle dimensioni meramente economiche e tecniche, ma implica per ogni persona l'acquisizione della cultura, il rispetto della dignità degli altri, il riconoscimento « dei valori supremi, e di Dio che ne è la sorgente e il termine ». 183 Lo sviluppo a vantaggio di tutti risponde all'esigenza di una giustizia su scala mondiale che garantisca una pace planetaria e renda possibile la realizzazione di « un umanesimo plenario », 184 governato dai valori spirituali.
99 In tale prospettiva,
Paolo VI istituisce, nel 1967, la Pontificia Commissione « Iustitia et Pax », realizzando un voto dei Padri Conciliari, per i quali è « assai opportuna la creazione di qualche organismo della Chiesa universale che abbia lo scopo di sensibilizzare la comunità dei cattolici a promuovere il progresso delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni ». 185 Per iniziativa di Paolo VI, a cominciare dal 1968, la Chiesa celebra il primo giorno dell'anno la Giornata Mondiale della Pace. Lo stesso Pontefice dà avvio alla tradizione dei Messaggi che affrontano il tema scelto per ogni lt Giornata Mondiale della Pace, accrescendo così il « corpus » della dottrina sociale.
100 All'inizio degli anni Settanta, in un clima turbolento di contestazione fortemente ideologica, Paolo VI riprende l'insegnamento sociale di Leone XIII e lo aggiorna, in occasione dell'ottantesimo anniversario della «
lt Rerum novarum », con la Lettera apostolica « Octogesima adveniens ». 186 Il Papa riflette sulla società post-industriale con tutti i suoi complessi problemi, rilevando l'insufficienza delle ideologie a rispondere a tali sfide: l'urbanizzazione, la condizione giovanile, la situazione della donna, la disoccupazione, le discriminazioni, l'emigrazione, l'incremento demografico, l'influsso dei mezzi di comunicazione sociale, l'ambiente naturale.
101 Novant'anni dopo la «
Rerum novarum », Giovanni Paolo II dedica l'enciclica « Laborem exercens »  187 al lavoro, bene fondamentale per la persona, fattore primario dell'attività economica e chiave di tutta la questione sociale. La « Laborem exercens » delinea una spiritualità e un'etica del lavoro, nel contesto di una profonda riflessione teologica e filosofica. Il lavoro non dev'essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma bisogna tenere in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale, il lavoro ha tutta la dignità di un ambito in cui deve trovare realizzazione la vocazione naturale e soprannaturale della persona.
102 Con l'enciclica «
Sollicitudo rei socialis », 188 Giovanni Paolo II commemora il ventesimo anniversario della « Populorum progressio » e affronta nuovamente il tema dello sviluppo, lungo due direttrici: « da una parte, la situazione drammatica del mondo contemporaneo, sotto il profilo dello sviluppo mancato del Terzo Mondo, e dall'altra, il senso, le condizioni e le esigenze di uno sviluppo degno dell'uomo ». 189 L'Enciclica introduce la differenza tra progresso e sviluppo e afferma che « il vero sviluppo non può limitarsi alla moltiplicazione dei beni e dei servizi, cioè a ciò che si possiede, ma deve contribuire alla pienezza dell'"essere" dell'uomo. In questo modo, s'intende delineare con chiarezza la natura morale del vero sviluppo ». 190 Giovanni Paolo II, evocando il motto del pontificato di Pio XII, « Opus iustitiae pax », la pace come frutto della giustizia, commenta: « Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cfr. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ». 191
103 Nel centesimo anniversario della «
Rerum novarum », Giovanni Paolo II promulga la sua terza enciclica sociale, la « Centesimus annus », 192 da cui emerge la continuità dottrinale di cent'anni di Magistero sociale della Chiesa. Riprendendo uno dei principi basilari della concezione cristiana dell'organizzazione sociale e politica, che era stato il tema centrale dell'Enciclica precedente, il Papa scrive: « il principio, che oggi chiamiamo di solidarietà... è più volte enunciato da Leone XIII col nome di "amicizia"...; da Pio XI è designato col nome non meno significativo di "carità sociale", mentre Paolo VI, ampliando il concetto secondo le moderne e molteplici dimensioni della questione sociale, parlava di "civiltà dell'amore" ». 193 Giovanni Paolo II mette in evidenza come l'insegnamento sociale della Chiesa corra lungo l'asse della reciprocità tra Dio e l'uomo: riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio è la condizione di un autentico sviluppo umano. L'articolata ed approfondita analisi delle « res novae », e specialmente della grande svolta del 1989 con il crollo del sistema sovietico, contiene un apprezzamento per la democrazia e per l'economia libera, nel quadro di un'indispensabile solidarietà.
c) Nella luce e sotto l'impulso del Vangelo
104 I documenti qui richiamati costituiscono le pietre miliari del cammino della dottrina sociale dai tempi di Leone XIII ai nostri giorni. Questa sintetica rassegna si allungherebbe di molto se si tenesse conto di tutti gli interventi motivati, oltre che da un tema specifico, « dalla preoccupazione pastorale di proporre alla comunità cristiana e a tutti gli uomini di buona volontà i principi fondamentali, i criteri universali e gli orientamenti idonei a suggerire le scelte di fondo e la prassi coerente per ogni situazione concreta ». 194
All'elaborazione e all'insegnamento della dottrina sociale, la Chiesa è stata ed è animata da intenti non teoretici, ma pastorali, quando si trova di fronte alle ripercussioni dei mutamenti sociali sui singoli esseri umani, su moltitudini di uomini e di donne, sulla loro stessa dignità, in contesti in cui « si cerca instancabilmente un ordine temporale più perfetto, senza che di pari passo avanzi il progresso spirituale ». 195 Per queste ragioni si è costituita e sviluppata la dottrina sociale, « un aggiornato "corpus" dottrinale, che si articola man mano che la Chiesa, nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l'assistenza dello Spirito Santo (cfr. Gv 14,16.26; 16,13-15), va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della storia ». 196
   
       

CAPITOLO TERZO
LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI
I. DOTTRINA SOCIALE E PRINCIPIO PERSONALISTA

105 La Chiesa vede nell'uomo, in ogni uomo, l'immagine vivente di Dio stesso; immagine che trova ed è chiamata a ritrovare sempre più profondamente piena spiegazione di sé nel mistero di Cristo, Immagine perfetta di Dio, Rivelatore di Dio all'uomo e dell'uomo a se stesso. A quest'uomo, che da Dio stesso ha ricevuto una incomparabile ed inalienabile dignità, la Chiesa si rivolge e gli rende il servizio più alto e singolare, richiamandolo costantemente alla sua altissima vocazione, perché ne sia sempre più consapevole e degno. Cristo, Figlio di Dio, « con la sua incarnazione si è unito in un certo senso ad ogni uomo »;  197 per questo la Chiesa riconosce come suo compito fondamentale il far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. In Cristo Signore, la Chiesa indica e intende per prima percorrere la via dell'uomo, 198 e invita a riconoscere in chiunque, prossimo o lontano, conosciuto o sconosciuto, e soprattutto nel povero e nel sofferente, un fratello « per il quale Cristo è morto » (1 Cor 8,11; Rm 14,15). 199
106 Tutta la vita sociale è espressione della sua inconfondibile protagonista: la persona umana. Di questa consapevolezza la Chiesa ha saputo più volte e in molti modi farsi interprete autorevole, riconoscendo e affermando la centralità della persona umana in ogni ambito e manifestazione della socialità: « La società umana è oggetto dell'insegnamento sociale della Chiesa, dal momento che essa non si trova né al di fuori né al di sopra degli uomini socialmente uniti, ma esiste esclusivamente in essi e, quindi, per essi ». 200 Questo importante riconoscimento trova espressione nell'affermazione che « lungi dall'essere l'oggetto e un elemento passivo della vita sociale », l'uomo « ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine ». 201 Da lui pertanto ha origine la vita sociale, la quale non può rinunciare a riconoscerlo suo soggetto attivo e responsabile e a lui ogni modalità espressiva della società deve essere finalizzata.
107 L'uomo, colto nella sua concretezza storica, rappresenta il cuore e l'anima dell'insegnamento sociale cattolico. 202 Tutta la dottrina sociale si svolge, infatti, a partire dal principio che afferma l'intangibile dignità della persona umana. 203 Mediante le molteplici espressioni di questa consapevolezza, la Chiesa ha inteso anzitutto tutelare la dignità umana di fronte ad ogni tentativo di riproporne immagini riduttive e distorte; essa ne ha, inoltre, più volte denunciato le molte violazioni. La storia attesta che dalla trama delle relazioni sociali emergono alcune tra le più ampie possibilità di elevazione dell'uomo, ma vi si annidano anche i più esecrabili misconoscimenti della sua dignità.

II. LA PERSONA UMANA « IMAGO DEI »

a) Creatura ad immagine di Dio
108 Il messaggio fondamentale della Sacra Scrittura annuncia che la persona umana è creatura di Dio (cfr. Sal 139,14-18) e individua l'elemento che la caratterizza e contraddistingue nel suo essere ad immagine di Dio: « Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gen 1,27). Dio pone la creatura umana al centro e al vertice del creato: all'uomo (in ebraico « adam »), plasmato con la terra (« adamah »), Dio soffia nelle narici l'alito della vita (cfr. Gen 2,7). Pertanto, « essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione ». 204
109 La somiglianza con Dio mette in luce che l'essenza e l'esistenza dell'uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo più profondo. 205 È una relazione che esiste per se stessa, non arriva, quindi, in un secondo tempo e non si aggiunge dall'esterno. Tutta la vita dell'uomo è una domanda e una ricerca di Dio. Questa relazione con Dio può essere ignorata oppure dimenticata o rimossa, ma non può mai essere eliminata. Fra tutte le creature del mondo visibile, infatti, soltanto l'uomo è « "capace" di Dio » (« homo est Dei capax »). 206 La persona umana è un essere personale creato da Dio per la relazione con Lui, che soltanto nella relazione può vivere ed esprimersi e che tende naturalmente a Lui. 207
110 La relazione tra Dio e l'uomo si riflette nella dimensione relazionale e sociale della natura umana. L'uomo, infatti, non è un essere solitario, bensì « per sua intima natura è un essere sociale, e non può vivere né esplicare le sue doti senza relazioni con gli altri ». 208 A questo riguardo risulta significativo il fatto che Dio ha creato l'essere umano come uomo e donna  209 (cfr. Gen 1,27): « Quanto mai eloquente è l'insoddisfazione di cui è preda la vita dell'uomo nell'Eden fin quando il suo unico riferimento rimane il mondo vegetale e animale (cfr. Gen 2,20). Solo l'apparizione della donna, di un essere cioè che è carne dalla sua carne e osso dalle sue ossa (cfr. Gen 2,23), e in cui ugualmente vive lo spirito di Dio Creatore, può soddisfare l'esigenza di dialogo inter-personale che è così vitale per l'esistenza umana. Nell'altro, uomo o donna, si riflette Dio stesso, approdo definitivo e appagante di ogni persona ». 210
111 L'uomo e la donna hanno la stessa dignità e sono di eguale valore, 211 non solo perché ambedue, nella loro diversità, sono immagine di Dio, ma ancor più profondamente perché è immagine di Dio il dinamismo di reciprocità che anima il noi della coppia umana. 212 Nel rapporto di comunione reciproca, uomo e donna realizzano profondamente se stessi, ritrovandosi come persone attraverso il dono sincero di sé. 213 Il loro patto di unione è presentato nella Sacra Scrittura come un'immagine del Patto di Dio con gli uomini (cfr. Os 1-3; Is 54; Ef 5,21-33) e, al tempo stesso, come un servizio alla vita. 214 La coppia umana può partecipare, infatti, alla creatività di Dio: « Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" » (Gen 1,28).
112 L'uomo e la donna sono in relazione con gli altri innanzi tutto come affidatari della loro vita:  215 « Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello » (Gen 9,5), ribadisce Dio a Noè dopo il diluvio. In questa prospettiva, la relazione con Dio esige che si consideri la vita dell'uomo sacra e inviolabile. 216 Il quinto comandamento: « Non uccidere! » (Es 20,13; Dt 5,17) ha valore perché Dio solo è Signore della vita e della morte. 217 Il rispetto dovuto all'inviolabilità e all'integrità della vita fisica ha il suo vertice nel comandamento positivo: « Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Lv 19,18), con cui Gesù Cristo obbliga a farsi carico del prossimo (cfr. Mt 22,37-40; Mc 12,29-31; Lc 10,27-28).
113 Con questa particolare vocazione alla vita, l'uomo e la donna si trovano di fronte anche a tutte le altre creature. Essi possono e devono sottoporle al loro servizio e goderne, ma la loro signoria sul mondo richiede l'esercizio della responsabilità, non è una libertà di sfruttamento arbitrario ed egoistico. Tutta la creazione, infatti, ha il valore di « cosa buona » (cfr. Gen 1, 4.10.12.18.21.25) davanti allo sguardo di Dio, che ne è l'autore. L'uomo deve scoprirne e rispettarne il valore: è questa una sfida meravigliosa alla sua intelligenza, la quale lo deve innalzare come un'ala  218 verso la contemplazione della verità di tutte le creature, ossia di ciò che Dio vede di buono in esse. Il Libro della Genesi insegna, infatti, che il dominio dell'uomo sul mondo consiste nel dare un nome alle cose (cfr. Gen 2,19-20): con la denominazione l'uomo deve riconoscere le cose per quello che sono e stabilire verso ciascuna di esse un rapporto di responsabilità. 219
114 L'uomo è in relazione anche con se stesso e può riflettere su se stesso. La Sacra Scrittura parla a questo riguardo del cuore dell'uomo. Il cuore designa appunto l'interiorità spirituale dell'uomo, ossia quanto lo distingue da ogni altra creatura: Dio « ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine » (Qo 3,11). Il cuore indica, in definitiva, le facoltà spirituali proprie dell'uomo, sue prerogative in quanto creato ad immagine del suo Creatore: la ragione, il discernimento del bene e del male, la volontà libera. 220 Quando ascolta l'aspirazione profonda del suo cuore, ogni uomo non può non fare propria la parola di verità espressa da sant'Agostino: « Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te ». 221
b) Il dramma del peccato
115 La mirabile visione della creazione dell'uomo da parte di Dio è inscindibile dal quadro drammatico del peccato delle origini. Con un'affermazione lapidaria l'apostolo Paolo sintetizza il racconto della caduta dell'uomo contenuto nelle prime pagine della Bibbia: « a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte » (Rm 5,12). L'uomo, contro il divieto di Dio, si lascia sedurre dal serpente e allunga le mani sull'albero della vita, cadendo in balia della morte. Con questo gesto l'uomo tenta di forzare il suo limite di creatura, sfidando Dio, unico suo Signore e sorgente della vita. È un peccato di disobbedienza (cfr. Rm 5,19) che divide l'uomo da Dio. 222
Dalla Rivelazione sappiamo che Adamo, il primo uomo, trasgredendo il comandamento di Dio, perde la santità e la giustizia in cui era costituito, ricevute non soltanto per sé, ma per tutta l'umanità: « cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali ». 223
116 Alla radice delle lacerazioni personali e sociali, che offendono in varia misura il valore e la dignità della persona umana, si trova una ferita nell'intimo dell'uomo: « Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un'eredità ricevuta dai progenitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà ». 224 La conseguenza del peccato, in quanto atto di separazione da Dio, è appunto l'alienazione, cioè la divisione dell'uomo non solo da Dio, ma anche da se stesso, dagli altri uomini e dal mondo circostante: « la rottura con Dio sfocia drammaticamente nella divisione tra i fratelli. Nella descrizione del "primo peccato", la rottura con Jahve spezza al tempo stesso il filo dell'amicizia che univa la famiglia umana, cosicché le pagine successive della Genesi ci mostrano l'uomo e la donna, che puntano quasi il dito accusatore l'uno contro l'altra (cfr. Gen 3,12); poi il fratello che, ostile al fratello, finisce col togliergli la vita (cfr. Gen 4,2-16). Secondo la narrazione dei fatti di Babele, la conseguenza del peccato è la frantumazione della famiglia umana, già cominciata col primo peccato e ora giunta all'estremo nella sua forma sociale ». 225 Riflettendo sul mistero del peccato non si può non considerare questa tragica concatenazione di causa e di effetto.
117 Il mistero del peccato si compone di una doppia ferita, che il peccatore apre nel proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità, ma a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale, tenendo conto del fatto che « in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri ». 226 Non è tuttavia legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale che, più o meno consapevolmente, conduca a diluirne e quasi a cancellarne la componente personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Al fondo di ogni situazione di peccato si trova sempre la persona che pecca.
118 Alcuni peccati, inoltre, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo. Tali peccati, in particolare, si qualificano come peccati sociali. È sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti tra persona e persona, tra la persona e la comunità, ancora tra la comunità e la persona. È sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, incluso quello del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Infine, è sociale quel peccato che « riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace tra gli individui, i gruppi, i popoli ». 227
119 Le conseguenze del peccato alimentano le strutture di peccato. Esse si radicano nel peccato personale e, quindi, sono sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le originano, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. E così esse si rafforzano, si diffondono, diventano sorgente di altri peccati e condizionano la condotta degli uomini. 228 Si tratta di condizionamenti e ostacoli, che durano molto di più delle azioni compiute nel breve arco della vita di un individuo e che interferiscono anche nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza vanno giudicati anche sotto questo aspetto. 229 Le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le strutture che essi inducono sembrano oggi soprattutto due: « da una parte, la brama esclusiva del profitto e, dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l'espressione: "a qualsiasi prezzo" ». 230
c) Universalità del peccato e universalità della salvezza
120 La dottrina del peccato originale, che insegna l'universalità del peccato, ha una fondamentale importanza: « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi » (1 Gv 1,8). Questa dottrina induce l'uomo a non restare nella colpa e a non prenderla alla leggera, cercando di continuo capri espiatori negli altri uomini e giustificazioni nell'ambiente, nell'ereditarietà, nelle istituzioni, nelle strutture e nelle relazioni. Si tratta di un insegnamento che smaschera tali inganni.
La dottrina dell'universalità del peccato, tuttavia, non deve essere slegata dalla consapevolezza dell'universalità della salvezza in Gesù Cristo. Se ne viene isolata, essa ingenera una falsa angoscia del peccato e una considerazione pessimistica del mondo e della vita, che induce a disprezzare le realizzazioni culturali e civili dell'uomo.
121 Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall'atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte (cfr. Rm 5,18-21; 1 Cor 15,56-57): « In Lui Dio ha riconciliato l'uomo con Sé ». 231 Cristo, l'Immagine di Dio (cfr. 2 Cor 4,4; Col 1,15), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell'uomo, luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4.9). Dio vuole nell'unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini (cfr. 1 Tm 2,4-5). Gesù è al tempo stesso il Figlio di Dio e il nuovo Adamo, ossia il nuovo uomo (cfr. 1 Cor 15,47-49; Rm 5,14): « Con la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l'uomo all'uomo e gli svela la sua altissima vocazione ». 232 In Lui noi siamo da Dio « predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » (Rm 8,29).
122 La realtà nuova che Gesù Cristo dona non s'innesta nella natura umana, non le si aggiunge dall'esterno: è invece quella realtà di comunione con il Dio trinitario verso la quale gli uomini sono da sempre orientati nel profondo del loro essere, grazie alla loro creaturale similitudine con Dio; ma si tratta anche di una realtà che essi non possono raggiungere con le loro sole forze. Mediante lo Spirito di Gesù Cristo, Figlio incarnato di Dio, nel quale tale realtà di comunione è già realizzata in modo singolare, gli uomini vengono accolti come figli di Dio (cfr. Rm 8,14-17; Gal 4,4-7). Per mezzo di Cristo, partecipiamo alla natura di Dio, che ci dona infinitamente di più « di quanto possiamo domandare o pensare » (Ef 3,20). Ciò che gli uomini hanno già ricevuto non è che un pegno o una « caparra » (2 Cor 1,22; Ef 1,14) di ciò che otterranno completamente soltanto davanti a Dio, visto « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), ossia una caparra della vita eterna: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17,3).
123 L'universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il cielo e la terra: « Stillate, cieli, dall'alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo » (Is 45,8). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l'umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione (cfr. Rm 8,18-22).

III. LA PERSONA UMANA E I SUOI MOLTI PROFILI

124 Facendo tesoro del mirabile messaggio biblico, la dottrina sociale della Chiesa si sofferma anzitutto sulle principali ed inscindibili dimensioni della persona umana, così da cogliere le più rilevanti sfaccettature del suo mistero e della sua dignità. Non sono infatti mancate in passato, e si affacciano ancora drammaticamente sullo scenario della storia attuale, molteplici concezioni riduttive, di carattere ideologico o dovute semplicemente a forme diffuse del costume e del pensiero, riguardanti la considerazione dell'uomo, della sua vita e dei suoi destini, accomunate dal tentativo di offuscarne l'immagine mediante la sottolineatura di una sola delle sue caratteristiche, a scapito di tutte le altre. 233
125 La persona non può mai essere pensata unicamente come assoluta individualità, edificata da se stessa e su se stessa, quasi che le sue caratteristiche proprie non dipendessero da altri che da sé. Né può essere pensata come pura cellula di un organismo disposto a riconoscerle, tutt'al più, un ruolo funzionale all'interno di un sistema. Le concezioni riduttive della piena verità dell'uomo sono state già più volte oggetto della sollecitudine sociale della Chiesa, che non ha mancato di levare la sua voce nei confronti di queste come di altre prospettive, drasticamente riduttive, preoccupandosi di annunciare invece « che gli individui non ci appaiono slegati tra loro quali granelli di sabbia; ma bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni »  234 e che l'uomo non può essere inteso come « un semplice elemento e una molecola dell'organismo sociale », 235 curando quindi che all'affermazione del primato della persona non corrispondesse una visione individualistica o massificata.
126 La fede cristiana, mentre invita a ricercare ovunque ciò che è buono e degno dell'uomo (cfr. 1 Tess 5,21), « si pone al di sopra e talvolta all'opposto delle ideologie in quanto riconosce Dio, trascendente e Creatore, che interpella, a tutti i livelli della creazione, l'uomo quale essere responsabilmente libero ». 236
La dottrina sociale si fa carico delle differenti dimensioni del mistero dell'uomo, che richiede di essere accostato « nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale », 237 con un'attenzione specifica, così da consentirne la valutazione più puntuale.
A) L'UNITÀ DELLA PERSONA
127 L'uomo è stato creato da Dio come unità di anima e corpo:  238 « L'anima spirituale e immortale è il principio di unità dell'essere umano, è ciò per cui esso esiste come un tutto — "corpore et anima unus" — in quanto persona. Queste definizioni non indicano solo che anche il corpo, al quale è promessa la risurrezione, sarà partecipe della gloria; esse ricordano altresì il legame della ragione e della libera volontà con tutte le facoltà corporee e sensibili. La persona, incluso il corpo, è affidata interamente a se stessa, ed è nell'unità dell'anima e del corpo che essa è il soggetto dei propri atti morali ». 239
128 Mediante la sua corporeità l'uomo unifica in sé gli elementi del mondo materiale, che « in lui toccano il loro vertice ed alzano la voce per la libera lode del Creatore ». 240 Questa dimensione permette all'uomo di inserirsi nel mondo materiale, luogo della sua realizzazione e della sua libertà, non come in una prigione o in un esilio. Non è lecito disprezzare la vita corporale; l'uomo, anzi, « è tenuto a considerare buono e degno d'onore il proprio corpo, perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno ». 241 La dimensione corporale, tuttavia, in seguito alla ferita del peccato, fa sperimentare all'uomo le ribellioni del corpo e le perverse inclinazioni del cuore, su cui egli deve sempre vigilare per non rimanerne schiavo e per non restare vittima d'una visione puramente terrena della sua vita.
Con la sua spiritualità l'uomo supera la totalità delle cose e penetra nella struttura più profonda della realtà. Quando si volge al cuore, quando, cioè, riflette sul proprio destino, l'uomo si scopre superiore al mondo materiale, per la sua dignità unica di interlocutore di Dio, sotto il cui sguardo decide della sua vita. Egli, nella sua vita interiore, riconosce di avere « in se stesso un'anima spirituale e immortale » e sa di non essere soltanto « una particella della natura o un elemento anonimo della città umana ». 242
129 L'uomo, quindi, ha due caratteristiche diverse: è un essere materiale, legato a questo mondo mediante il suo corpo, e un essere spirituale, aperto alla trascendenza e alla scoperta di « una verità più profonda », a motivo della sua intelligenza, con cui partecipa « della luce della mente divina ». 243 La Chiesa afferma: « L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare l'anima come la "forma" del corpo; ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo, composto di materia, è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura ». 244 Né lo spiritualismo, che disprezza la realtà del corpo, né il materialismo, che considera lo spirito mera manifestazione della materia, rendono ragione della complessità, della totalità e dell'unità dell'essere umano.
B) APERTURA ALLA TRASCENDENZA E UNICITÀ DELLA PERSONA
a) Aperta alla trascendenza
130 Alla persona umana appartiene l'apertura alla trascendenza: l'uomo è aperto verso l'infinito e verso tutti gli esseri creati. È aperto anzitutto verso l'infinito, cioè Dio, perché con la sua intelligenza e la sua volontà si eleva al di sopra di tutto il creato e di se stesso, si rende indipendente dalle creature, è libero di fronte a tutte le cose create e si protende verso la verità ed il bene assoluti. È aperto anche verso l'altro, gli altri uomini e il mondo, perché solo in quanto si comprende in riferimento a un tu può dire io. Esce da sé, dalla conservazione egoistica della propria vita, per entrare in una relazione di dialogo e di comunione con l'altro.
La persona è aperta alla totalità dell'essere, all'orizzonte illimitato dell'essere. Essa ha in sé la capacità di trascendere i singoli oggetti particolari che conosce, in effetti, grazie a questa sua apertura all'essere senza confini. L'anima umana è in un certo senso, per la sua dimensione conoscitiva, tutte le cose: « tutte le cose immateriali godono di una certa infinità, in quanto abbracciano tutto, o perché si tratta dell'essenza di una realtà spirituale che funge da modello e somiglianza di tutto, come è nel caso di Dio, oppure perché possiede la somiglianza d'ogni cosa o in atto come negli Angeli oppure in potenza come nelle anime ». 245
b) Unica e irripetibile
131 L'uomo esiste come essere unico e irripetibile, esiste come un « io », capace di autocomprendersi, di autopossedersi, di autodeterminarsi. La persona umana è un essere intelligente e cosciente, capace di riflettere su se stesso e quindi di aver coscienza di sé e dei propri atti. Non sono, tuttavia, l'intelligenza, la coscienza e la libertà a definire la persona, ma è la persona che sta alla base degli atti di intelligenza, di coscienza, di libertà. Tali atti possono anche mancare, senza che per questo l'uomo cessi di essere persona.
La persona umana va sempre compresa nella sua irripetibile ed ineliminabile singolarità. L'uomo esiste, infatti, anzitutto come soggettività, come centro di coscienza e di libertà, la cui vicenda unica e non paragonabile ad alcun'altra esprime la sua irriducibilità a qualunque tentativo di costringerlo entro schemi di pensiero o sistemi di potere, ideologici o meno. Questo impone anzitutto l'esigenza non soltanto del semplice rispetto da parte di chiunque, e specialmente delle istituzioni politiche e sociali e dei loro responsabili nei riguardi di ciascun uomo di questa terra, ma ben più, ciò comporta che il primo impegno di ciascuno verso l'altro e soprattutto di queste stesse istituzioni, vada posto precisamente nella promozione dello sviluppo integrale della persona.
c) Il rispetto della dignità umana
132 Una società giusta può essere realizzata soltanto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana. Essa rappresenta il fine ultimo della società, la quale è ad essa ordinata: « Pertanto l'ordine sociale e il suo progresso devono sempre far prevalere il bene delle persone, perché l'ordine delle cose dev'essere adeguato all'ordine delle persone e non viceversa ». 246 Il rispetto della dignità umana non può assolutamente prescindere dal rispetto di questo principio: bisogna « considerare il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro se stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente ». 247 Occorre che tutti i programmi sociali, scientifici e culturali, siano presieduti dalla consapevolezza del primato di ogni essere umano. 248
133 In nessun caso la persona umana può essere strumentalizzata per fini estranei al suo stesso sviluppo, che può trovare compimento pieno e definitivo soltanto in Dio e nel Suo progetto salvifico: l'uomo, infatti, nella sua interiorità, trascende l'universo ed è l'unica creatura ad essere stata voluta da Dio per se stessa. 249 Per questa ragione né la sua vita, né lo sviluppo del suo pensiero, né i suoi beni, né quanti condividono la sua vicenda personale e familiare, possono essere sottoposti a ingiuste restrizioni nell'esercizio dei propri diritti e della propria libertà.
La persona non può essere finalizzata a progetti di carattere economico, sociale e politico imposti da qualsivoglia autorità, sia pure in nome di presunti progressi della comunità civile nel suo insieme o di altre persone, nel presente o nel futuro. È necessario pertanto che le autorità pubbliche vigilino con attenzione, affinché ogni restrizione della libertà o comunque ogni onere imposto all'agire personale non sia mai lesivo della dignità personale e affinché venga garantita l'effettiva praticabilità dei diritti umani. Tutto questo, ancora una volta, si fonda sulla visione dell'uomo come persona, vale a dire come soggetto attivo e responsabile del proprio processo di crescita, insieme alla comunità di cui è parte.
134 Gli autentici mutamenti sociali sono effettivi e duraturi soltanto se fondati su decisi cambiamenti della condotta personale. Non sarà mai possibile un'autentica moralizzazione della vita sociale, se non a partire dalle persone e facendo riferimento ad esse: infatti, « l'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona ». 250 Alle persone compete evidentemente lo sviluppo di quegli atteggiamenti morali, fondamentali in ogni convivenza che voglia dirsi veramente umana (giustizia, onestà, veracità, ecc.), che in nessun modo potrà essere semplicemente attesa da altri o delegata alle istituzioni. A tutti, e in modo particolare a coloro che in varia forma detengono responsabilità politiche, giuridiche o professionali nei riguardi di altri, spetta di essere coscienza vigile della società e per primi testimoni di una convivenza civile e degna dell'uomo.
C) LA LIBERTÀ DELLA PERSONA
a) Valore e limiti della libertà
135 L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, che Dio gli ha dato come segno altissimo della Sua immagine:  251 « Dio ha voluto lasciare l'uomo in balia del suo proprio volere (cfr. Sir 15,14), perché cercasse spontaneamente il suo Creatore ed aderendo a lui pervenisse liberamente alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo una scelta consapevole e libera, cioè mosso e indotto personalmente dal di dentro, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna ». 252
L'uomo giustamente apprezza la libertà e con passione la cerca: giustamente vuole, e deve, formare e guidare, di sua libera iniziativa, la sua vita personale e sociale, assumendosene personalmente la responsabilità. 253 La libertà, infatti, non solo permette all'uomo di mutare convenientemente lo stato di cose a lui esterno, ma determina la crescita del suo essere persona, mediante scelte conformi al vero bene:  254 in tal modo, l'uomo genera se stesso, è padre del proprio essere, 255 costruisce l'ordine sociale. 256
136 La libertà non è in opposizione alla dipendenza creaturale dell'uomo da Dio. 257 La Rivelazione insegna che il potere di determinare il bene e il male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo (cfr. Gen 2,16-17): « L'uomo è certamente libero, dal momento che può comprendere ed accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso di una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare "di tutti gli alberi del giardino". Ma questa libertà non è illimitata: deve arrestarsi di fronte all'"albero della conoscenza del bene e del male", essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all'uomo. In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell'uomo trova la sua vera e piena realizzazione ». 258
137 Il retto esercizio della libertà personale esige precise condizioni di ordine economico, sociale, giuridico, politico e culturale che « troppo spesso sono misconosciute e violate. ...situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina ». 259 La liberazione dalle ingiustizie promuove la libertà e la dignità umana: tuttavia « occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente a servizio dell'uomo ». 260
b) Il vincolo della libertà con la verità e la legge naturale
138 Nell' esercizio della libertà, l'uomo compie atti moralmente buoni, costruttivi della sua persona e della società, quando obbedisce alla verità, ossia quando non pretende di essere creatore e padrone assoluto di quest'ultima e delle norme etiche. 261 La libertà, infatti, « non ha il suo punto di partenza assoluto e incondizionato in se stessa, ma nell'esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa, nello stesso tempo, un limite e una possibilità. È la libertà di una creatura, ossia una libertà donata, da accogliere come un germe e da far maturare con responsabilità ». 262
In caso contrario, muore come libertà, distrugge l'uomo e la società. 263
139 La verità circa il bene e il male è riconosciuta praticamente e concretamente dal giudizio della coscienza, il quale porta ad assumere la responsabilità del bene compiuto e del male commesso: « Così nel giudizio pratico della coscienza, che impone alla persona l'obbligo di compiere un determinato atto, si rivela il vincolo della libertà con la verità. Proprio per questo la coscienza si esprime con atti di "giudizio" che riflettono la verità sul bene, e non come "decisioni" arbitrarie. E la maturità e la responsabilità di questi giudizi — e, in definitiva, dell'uomo, che ne è il soggetto — si misurano non con la liberazione della coscienza dalla verità oggettiva, in favore di una presunta autonomia delle proprie decisioni, ma, al contrario, con una pressante ricerca della verità e con il farsi guidare da essa nell'agire ». 264
140 L'esercizio della libertà implica il riferimento ad una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e i doveri. 265 La legge naturale « altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione »  266 e consiste nella partecipazione alla Sua legge eterna, la quale s'identifica con Dio stesso. 267 Questa legge è chiamata naturale perché la ragione che la promulga è propria della natura umana. Essa è universale, si estende a tutti gli uomini in quanto stabilita dalla ragione. Nei suoi precetti principali, la legge divina e naturale è esposta nel Decalogo ed indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. 268 Essa ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a noi stessi. La legge naturale esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali. 269
141 Nella diversità delle culture, la legge naturale lega gli uomini tra loro, imponendo dei principi comuni. Per quanto la sua applicazione richieda adattamenti alla molteplicità delle condizioni di vita, secondo i luoghi, le epoche e le circostanze, 270 essa è immutabile, « rimane sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso... Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società ». 271
I suoi precetti, tuttavia, non sono percepiti da tutti con chiarezza ed immediatezza. Le verità religiose e morali possono essere conosciute « da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore », 272 solo con l'aiuto della Grazia e della Rivelazione. La legge naturale offre un fondamento preparato da Dio alla legge rivelata e alla Grazia, in piena armonia con l'opera dello Spirito. 273
142 La legge naturale, che è legge di Dio, non può essere cancellata dalla malvagità umana. 274 Essa pone il fondamento morale indispensabile per edificare la comunità degli uomini e per elaborare la legge civile, che trae le conseguenze di natura concreta e contingente dai principi della legge naturale. 275 Se si oscura la percezione dell'universalità della legge morale naturale, non si può edificare una reale e duratura comunione con l'altro, perché, quando manca una convergenza verso la verità e il bene, « in maniera imputabile o no, i nostri atti feriscono la comunione delle persone, con pregiudizio di ciascuno ». 276 Solo una libertà radicata nella comune natura, infatti, può rendere tutti gli uomini responsabili ed è in grado di giustificare la morale pubblica. Chi si autoproclama misura unica delle cose e della verità non può convivere pacificamente e collaborare con i propri simili. 277
143 La libertà è misteriosamente inclinata a tradire l'apertura alla verità e al bene umano e troppo spesso preferisce il male e la chiusura egoistica, elevandosi a divinità creatrice del bene e del male: « Costituito da Dio nella giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dall'inizio della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e mirando a raggiungere il suo fine al di fuori di Dio. ... Rifiutando spesso di riconoscere Dio come suo principio, l'uomo ha anche sconvolto il giusto ordine riguardante il suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e tutte le cose create ». 278 La libertà dell'uomo ha bisogno, pertanto, di essere liberata. Cristo, con la forza del Suo mistero pasquale, libera l'uomo dall'amore disordinato di se stesso, 279 che è fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti improntati al dominio sull'altro; Egli rivela che la libertà si realizza nel dono di sé. 280 Con il Suo sacrificio sulla croce, Gesù reintroduce ogni uomo nella comunione con Dio e con i propri simili.
D) L'UGUAGLIANZA IN DIGNITÀ DI TUTTE LE PERSONE
144 « Dio non fa preferenze di persone » (At 10,34; cfr. Rm 2,11; Gal 2,6; Ef 6,9), poiché tutti gli uomini hanno la stessa dignità di creature a Sua immagine e somiglianza. 281 L'Incarnazione del Figlio di Dio manifesta l'uguaglianza di tutte le persone quanto a dignità: « Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28; cfr. Rm 10,12; 1 Cor 12,13; Col 3,11).
Poiché sul volto di ogni uomo risplende qualcosa della gloria di Dio, la dignità di ogni uomo davanti a Dio sta a fondamento della dignità dell'uomo davanti agli altri uomini. 282 Questo è, inoltre, il fondamento ultimo della radicale uguaglianza e fraternità fra gli uomini, indipendentemente dalla loro razza, Nazione, sesso, origine, cultura, classe.
145 Solo il riconoscimento della dignità umana può rendere possibile la crescita comune e personale di tutti (cfr. Gc 2,1-9). Per favorire una simile crescita è necessario, in particolare, sostenere gli ultimi, assicurare effettivamente condizioni di pari opportunità tra uomo e donna, garantire un'obiettiva eguaglianza tra le diverse classi sociali davanti alla legge. 283
Anche nei rapporti tra popoli e Stati, condizioni di equità e di parità sono il presupposto per un autentico progresso della comunità internazionale. 284 Malgrado gli avanzamenti verso tale direzione, non bisogna dimenticare che esistono ancora molte disuguaglianze e forme di dipendenza. 285
A un'uguaglianza nel riconoscimento della dignità di ciascun uomo e di ciascun popolo, deve corrispondere la consapevolezza che la dignità umana potrà essere custodita e promossa soltanto in forma comunitaria, da parte dell'umanità intera. Soltanto con l'azione concorde di uomini e di popoli sinceramente interessati al bene di tutti gli altri, si può raggiungere un'autentica fratellanza universale;  286 viceversa, il permanere di condizioni di gravissima disparità e disuguaglianza impoverisce tutti.
146 Il « maschile » e il « femminile » differenziano due individui di uguale dignità, che non riflettono però un'uguaglianza statica, perché lo specifico femminile è diverso dallo specifico maschile e questa diversità nell'uguaglianza è arricchente e indispensabile per un'armoniosa convivenza umana: « La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarità con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale ». 287
147 La donna è il complemento dell'uomo, come l'uomo è il complemento della donna: donna e uomo si completano a vicenda, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma anche ontologico. È soltanto grazie alla dualità del « maschile » e del « femminile » che l'« umano » si realizza appieno. È « l'unità dei due », 288 ossia una « unidualità » relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono che è al tempo stesso una missione: « A questa "unità dei due" è affidata da Dio non soltanto l'opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia ». 289 « La donna è "aiuto" per l'uomo, come l'uomo è "aiuto" per la donna! »:  290 nel loro incontro si realizza una concezione unitaria della persona umana, basata non sulla logica dell'egocentrismo e dell'autoaffermazione, ma su quella dell'amore e della solidarietà.
148 Le persone handicappate sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri: « pur con le limitazioni e le sofferenze inscritte nel loro corpo e nelle loro facoltà, pongono in maggior rilievo la dignità e la grandezza dell'uomo ». 291 Poiché la persona portatrice di handicap è un soggetto con tutti i suoi diritti, essa deve essere aiutata a partecipare alla vita familiare e sociale in tutte le dimensioni e a tutti i livelli accessibili alle sue possibilità.
Bisogna promuovere con misure efficaci ed appropriate i diritti della persona handicappata: « Sarebbe radicalmente indegno dell'uomo, e negazione della comune umanità, ammettere alla vita della società, e dunque al lavoro, solo i membri pienamente funzionali perché, così facendo, si ricadrebbe in una grave forma di discriminazione, quella dei forti e dei sani contro i deboli ed i malati ». 292 Una grande attenzione dovrà essere rivolta non solo alle condizioni di lavoro fisiche e psicologiche, alla giusta rimunerazione, alla possibilità di promozioni ed all'eliminazione dei diversi ostacoli, ma anche alle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata: « Anch'essa ha bisogno di amare e di essere amata, ha bisogno di tenerezza, di vicinanza, di intimità », 293 secondo le proprie possibilità e nel rispetto dell'ordine morale, che è lo stesso per i sani e per coloro che portano un handicap.
E) LA SOCIALITÀ UMANA
149 La persona è costitutivamente un essere sociale, 294 perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata. 295 La natura dell'uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e dell'amore: « Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire ». 296
Occorre pertanto sottolineare che la vita comunitaria è una caratteristica naturale che distingue l'uomo dal resto delle creature terrene. L'agire sociale porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, quello di una persona operante in una comunità di persone: questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura. 297 Tale caratteristica relazionale acquista, alla luce della fede, un senso più profondo e stabile. Fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), e costituita nell'universo visibile per vivere in società (cfr. Gen 2,20.23) e dominare la terra (cfr. Gen 1,26.28-30), la persona umana è perciò sin dall'inizio chiamata alla vita sociale: « Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha voluto come un "essere sociale". La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri ». 298
150 La socialità umana non sfocia automaticamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé. A causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione dell'altro. 299 Ogni società, degna di tal nome, può ritenersi nella verità quando ogni suo membro, grazie alla propria capacità di conoscere il bene, lo persegue per sé e per gli altri. È per amore del proprio e dell'altrui bene che ci si unisce in gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune. Anche le varie società devono entrare in relazioni di solidarietà, di comunicazione e di collaborazione, a servizio dell'uomo e del bene comune. 300
151 La socialità umana non è uniforme, ma assume molteplici espressioni. Il bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale. Le molteplici società sono chiamate a costituire un tessuto unitario ed armonico, al cui interno sia possibile ad ognuna conservare e sviluppare la propria fisionomia e autonomia. Alcune società, come la famiglia, la comunità civile e la comunità religiosa sono più immediatamente rispondenti all'intima natura dell'uomo, altre procedono piuttosto dalla libera volontà: « Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni "a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale". Tale "socializzazione" esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti ». 301

IV. I DIRITTI UMANI

a) Il valore dei diritti umani
152 Il movimento verso l'identificazione e la proclamazione dei diritti dell'uomo è uno dei più rilevanti sforzi per rispondere efficacemente alle esigenze imprescindibili della dignità umana. 302 La Chiesa coglie in tali diritti la straordinaria occasione che il nostro tempo offre affinché, mediante il loro affermarsi, la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa universalmente quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla Sua creatura. 303 Il Magistero della Chiesa non ha mancato di valutare positivamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, che Giovanni Paolo II ha definito « una vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell'umanità ». 304
153 La radice dei diritti dell'uomo, infatti, è da ricercare nella dignità che appartiene ad ogni essere umano. 305 Tale dignità, connaturale alla vita umana e uguale in ogni persona, si coglie e si comprende anzitutto con la ragione. Il fondamento naturale dei diritti appare ancora più solido se, alla luce soprannaturale, si considera che la dignità umana, dopo essere stata donata da Dio ed essere stata profondamente ferita dal peccato, fu assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la Sua incarnazione, morte e risurrezione. 306
La fonte ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani, 307 nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell'uomo stesso e in Dio suo Creatore. Tali diritti sono « universali, inviolabili, inalienabili ». 308 Universali, perché sono presenti in tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna di tempo, di luogo e di soggetti. Inviolabili, in quanto « inerenti alla persona umana e alla sua dignità »  309 e perché « sarebbe vano proclamare i diritti, se al tempo stesso non si compisse ogni sforzo affinché sia doverosamente assicurato il loro rispetto da parte di tutti, ovunque e nei confronti di chiunque ». 310 Inalienabili, in quanto « nessuno può legittimamente privare di questi diritti un suo simile, chiunque egli sia, perché ciò significherebbe fare violenza alla sua natura ». 311
154 I diritti dell'uomo vanno tutelati non solo singolarmente, ma nel loro insieme: una loro protezione parziale si tradurrebbe in una sorta di mancato riconoscimento. Essi corrispondono alle esigenze della dignità umana e implicano, in primo luogo, la soddisfazione dei bisogni essenziali della persona, in campo materiale e spirituale: « tali diritti riguardano tutte le fasi della vita e ogni contesto politico, sociale, economico o culturale. Essi formano un insieme unitario, orientato decisamente alla promozione di ogni aspetto del bene della persona e della società... La promozione integrale di tutte le categorie dei diritti umani è la vera garanzia del pieno rispetto di ogni singolo diritto ». 312 Universalità e indivisibilità sono i tratti distintivi dei diritti umani: « sono due principi guida che postulano comunque l'esigenza di radicare i diritti umani nelle diverse culture, nonché di approfondire il loro profilo giuridico per assicurarne il pieno rispetto ». 313
b) La specificazione dei diritti
155 Gli insegnamenti di Giovanni XXIII, 314 del Concilio Vaticano II, 315 di Paolo VI  316 hanno offerto ampie indicazioni della concezione dei diritti umani delineata dal Magistero. Giovanni Paolo II ne ha tracciato un elenco nell'enciclica « lt Centesimus annus »: « il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere ed educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona ». 317
Il primo diritto ad essere enunciato in questo elenco è il diritto alla vita, dal concepimento fino al suo esito naturale, 318 che condiziona l'esercizio di ogni altro diritto e comporta, in particolare, l'illiceità di ogni forma di aborto procurato e di eutanasia. 319 È sottolineato l'altissimo valore del diritto alla libertà religiosa: « tutti gli uomini devono restare immuni da costrizione da parte sia dei singoli, sia dei gruppi sociali e di qualsiasi autorità umana, così che in materia religiosa, entro certi limiti, nessuno sia forzato ad agire contro la propria coscienza, né sia impedito ad agire secondo la sua coscienza, in privato e in pubblico, da solo o associato ad altri ». 320 Il rispetto di tale diritto è un segno emblematico « dell'autentico progresso dell'uomo in ogni regime, in ogni società, sistema o ambiente ». 321
c) Diritti e doveri
156 Connesso inscindibilmente al tema dei diritti è quello relativo ai doveri dell'uomo, che trova negli interventi del Magistero un'adeguata accentuazione. Più volte viene richiamata la reciproca complementarità tra diritti e doveri, indissolubilmente congiunti, in primo luogo nella persona umana che ne è il soggetto titolare. 322 Tale legame presenta anche una dimensione sociale: « Nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto ». 323 Il Magistero sottolinea la contraddizione insita in un'affermazione dei diritti che non preveda una correlativa responsabilità: « Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l'altra ». 324
d) Diritti dei popoli e delle Nazioni
157 Il campo dei diritti dell'uomo si è allargato ai diritti dei popoli e delle Nazioni:  325 infatti, « quanto è vero per l'uomo è vero anche per i popoli ». 326 Il Magistero ricorda che il diritto internazionale « poggia sul principio dell'eguale rispetto degli Stati, del diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità ». 327 La pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli, in particolare il diritto all'indipendenza. 328
I diritti delle Nazioni non sono altro che « i "diritti umani" colti a questo specifico livello della vita comunitaria ». 329 La Nazione ha « un fondamentale diritto all'esistenza »; alla « propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime e promuove la sua "sovranità" spirituale »; a « modellare la propria vita secondo le proprie tradizioni, escludendo, naturalmente, ogni violazione dei diritti umani fondamentali e, in particolare, l'oppressione delle minoranze »; a « costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni più giovani un'appropriata educazione ». 330 L'assetto internazionale richiede un equilibrio tra particolarità ed universalità, alla cui realizzazione sono chiamate tutte le Nazioni, per le quali il primo dovere è quello di vivere in atteggiamento di pace, di rispetto e di solidarietà con le altre Nazioni.
e) Colmare la distanza tra lettera e spirito
158 La solenne proclamazione dei diritti dell'uomo è contraddetta da una dolorosa realtà di violazioni, guerre e violenze di ogni tipo, in primo luogo i genocidi e le deportazioni di massa, il diffondersi pressoché ovunque di forme sempre nuove di schiavitù quali il traffico di esseri umani, i bambini soldato, lo sfruttamento dei lavoratori, il traffico illegale delle droghe, la prostituzione: « Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati ». 331
Esiste purtroppo una distanza tra « lettera » e « spirito » dei diritti dell'uomo, 332 ai quali è tributato spesso un rispetto puramente formale. La dottrina sociale, in considerazione del privilegio accordato dal Vangelo ai poveri, ribadisce a più riprese che « i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i propri beni a servizio degli altri » e che un'affermazione eccessiva di uguaglianza « può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune ». 333
159 La Chiesa, consapevole che la sua missione essenzialmente religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell'uomo, 334 « apprezza assai il dinamismo dei tempi moderni, con il quale tali diritti vengono ovunque promossi ». 335 La Chiesa avverte profondamente l'esigenza di rispettare al suo stesso interno la giustizia  336 e i diritti dell'uomo. 337
L'impegno pastorale si sviluppa in una duplice direzione, di annuncio del fondamento cristiano dei diritti dell'uomo e di denuncia delle violazioni di tali diritti: 338 in ogni caso, « l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta ». 339 Per essere più efficace, un simile impegno è aperto alla collaborazione ecumenica, al dialogo con le altre religioni, a tutti gli opportuni contatti con gli organismi, governativi e non governativi, a livello nazionale e internazionale. La Chiesa confida soprattutto nell'aiuto del Signore e del Suo Spirito che, riversato nei cuori, è la garanzia più sicura per rispettare la giustizia e i diritti umani, e per contribuire quindi alla pace: « Promuovere la giustizia e la pace, penetrare con la luce e il fermento evangelico tutti i campi dell'esistenza sociale, è sempre stato un costante impegno della Chiesa in nome del mandato che essa ha ricevuto dal Signore ». 340
  

CAPITOLO QUARTO
I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
I. SIGNIFICATO E UNITÀ

160 I principi permanenti della dottrina sociale della Chiesa  341 costituiscono i veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico: si tratta del principio della dignità della persona umana — già trattato nel capitolo precedente — nel quale ogni altro principio e contenuto della dottrina sociale trova fondamento, 342 del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà. Tali principi, espressione dell'intera verità sull'uomo conosciuta tramite la ragione e la fede, scaturiscono « dall'incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell'amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, con i problemi derivanti dalla vita della società ». 343 La Chiesa, nel corso della storia e alla luce dello Spirito, riflettendo sapientemente all'interno della propria tradizione di fede, ha potuto dare a tali principi fondazione e configurazione sempre più accurate, enucleandoli progressivamente, nello sforzo di rispondere con coerenza alle esigenze dei tempi e ai continui sviluppi della vita sociale.
161 Questi principi hanno un carattere generale e fondamentale, poiché riguardano la realtà sociale nel suo complesso: dalle relazioni interpersonali caratterizzate da prossimità ed immediatezza a quelle mediate dalla politica, dall'economia e dal diritto; dalle relazioni tra comunità o gruppi ai rapporti tra i popoli e le Nazioni. Per la loro permanenza nel tempo ed universalità di significato, la Chiesa li indica come il primo e fondamentale parametro di riferimento per l'interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali, necessario perché vi si possono attingere i criteri di discernimento e di guida dell'agire sociale, in ogni ambito.
162 I principi della dottrina sociale devono essere apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione. Tale esigenza si radica nel significato attribuito dalla Chiesa stessa alla propria dottrina sociale, di « corpus » dottrinale unitario che interpreta le realtà sociali in modo organico. 344 L'attenzione verso ogni singolo principio nella sua specificità non deve condurre ad un suo utilizzo parziale ed errato, che avviene qualora lo si invochi come fosse disarticolato e sconnesso rispetto a tutti gli altri. L'approfondimento teorico e la stessa applicazione di anche uno solo dei principi sociali fanno emergere con chiarezza la reciprocità, la complementarità, i nessi che li strutturano. Questi cardini fondamentali della dottrina della Chiesa rappresentano, inoltre, ben più di un patrimonio permanente di riflessione, che pure è parte essenziale del messaggio cristiano, poiché indicano a tutti le vie possibili per edificare una vita sociale buona, autenticamente rinnovata. 345
163 I principi della dottrina sociale, nel loro insieme, costituiscono quella prima articolazione della verità della società, dalla quale ogni coscienza è interpellata e invitata ad interagire con ogni altra, nella libertà, in piena corresponsabilità con tutti e nei confronti di tutti. Alla questione della verità e del senso del vivere sociale, infatti, l'uomo non può sottrarsi, in quanto la società non è una realtà estranea al suo stesso esistere.
Tali principi hanno un significato profondamente morale perché rinviano ai fondamenti ultimi e ordinatori della vita sociale. Per una loro piena comprensione, occorre agire nella loro direzione, sulla via dello sviluppo da essi indicato per una vita degna dell'uomo. L'esigenza morale insita nei grandi principi sociali riguarda sia l'agire personale dei singoli, in quanto primi ed insostituibili soggetti responsabili della vita sociale ad ogni livello, sia, al tempo stesso, le istituzioni, rappresentate da leggi, norme di costume e strutture civili, a causa della loro capacità di influenzare e condizionare le scelte di molti e per molto tempo. I principi ricordano, infatti, che la società storicamente esistente scaturisce dall'intrecciarsi delle libertà di tutte le persone che in essa interagiscono, contribuendo, mediante le loro scelte, ad edificarla o ad impoverirla.

II. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE

a) Significato e principali implicazioni
164 Dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone deriva innanzi tutto il principio del bene comune, al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente ». 346
Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.
165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. 347 La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri. Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza. 348
b) La responsabilità di tutti per il bene comune
166 Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali. 349 Tali esigenze riguardano anzitutto l'impegno per la pace, l'organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell'ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell'uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa. 350 Non va dimenticato l'apporto che ogni Nazione è in dovere di dare per una vera cooperazione internazionale, in vista del bene comune dell'intera umanità, anche per le generazioni future. 351
167 Il bene comune impegna tutti i membri della società: nessuno è esentato dal collaborare, a seconda delle proprie capacità, al suo raggiungimento e al suo sviluppo. 352 Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità. Il bene comune è conseguente alle più elevate inclinazioni dell'uomo, 353 ma è un bene arduo da raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio.
Tutti hanno anche il diritto di fruire delle condizioni di vita sociale che risultano dalla ricerca del bene comune. Suona ancora attuale l'insegnamento di Pio XI: « Bisogna procurare che la distribuzione dei beni creati, la quale ognuno vede quanto ora sia causa di disagio, per il grande squilibrio fra i pochi straricchi e gli innumerevoli indigenti, venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale ». 354
c) I compiti della comunità politica
168 La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d'essere dell'autorità politica. 355 Lo Stato, infatti, deve garantire coesione, unitarietà e organizzazione alla società civile di cui è espressione, 356 in modo che il bene comune possa essere conseguito con il contributo di tutti i cittadini. L'uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo; da ciò deriva la necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari — materiali, culturali, morali, spirituali — per condurre una vita veramente umana. Il fine della vita sociale è il bene comune storicamente realizzabile. 357
169 Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. 358 La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico. Non va dimenticato, inoltre, che nello Stato democratico, in cui le decisioni sono solitamente assunte a maggioranza dai rappresentanti della volontà popolare, coloro ai quali compete la responsabilità di governo sono tenuti ad interpretare il bene comune del loro Paese non soltanto secondo gli orientamenti della maggioranza, ma nella prospettiva del bene effettivo di tutti i membri della comunità civile, compresi quelli in posizione di minoranza.
170 Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale dell'intera creazione. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica. 359 Questa prospettiva raggiunge la sua pienezza in forza della fede nella Pasqua di Gesù, che offre piena luce circa la realizzazione del vero bene comune dell'umanità. La nostra storia — lo sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana — comincia e culmina in Gesù: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà, compresa la società umana, può essere condotta al suo Bene sommo, al suo compimento. Una visione puramente storica e materialistica finirebbe per trasformare il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente ovvero della sua più profonda ragion d'essere.

III. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

a) Origine e significato
171 Tra le molteplici implicazioni del bene comune, immediato rilievo assume il principio della destinazione universale dei beni: « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità ». 360 Tale principio si basa sul fatto che « la prima origine di tutto ciò che è bene è l'atto stesso di Dio che ha creato la terra e l'uomo, ed all'uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cfr. Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra. Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell'uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana ». 361 La persona, infatti, non può fare a meno dei beni materiali che rispondono ai suoi bisogni primari e costituiscono le condizioni basilari per la sua esistenza; questi beni le sono assolutamente indispensabili per alimentarsi e crescere, per comunicare, per associarsi e per poter conseguire le più alte finalità cui è chiamata. 362
172 Il principio della destinazione universale dei beni della terra è alla base del diritto universale all'uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell'uso comune dei beni è il « primo principio di tutto l'ordinamento etico-sociale »  363 e « principio tipico della dottrina sociale cristiana ». 364 Per questa ragione la Chiesa ha ritenuto doveroso precisarne la natura e le caratteristiche. Si tratta innanzi tutto di un diritto naturale, inscritto nella natura dell'uomo, e non di un diritto solo positivo, legato alla contingenza storica; inoltre, tale diritto è « originario ». 365 Esso inerisce alla singola persona, ad ogni persona, ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano sui beni, a qualunque ordinamento giuridico degli stessi, a qualunque sistema e metodo economico-sociale: « Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa [destinazione universale dei beni]: non devono quindi intralciarne, bensì al contrario facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria ». 366
173 L'attuazione concreta del principio della destinazione universale dei beni, secondo i differenti contesti culturali e sociali, implica una precisa definizione dei modi, dei limiti, degli oggetti. Destinazione ed uso universale non significano che tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti. Se è vero che tutti nascono con il diritto all'uso dei beni, è altrettanto vero che, per assicurarne un esercizio equo e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali e internazionali, ed un ordinamento giuridico che determini e specifichi tale esercizio.
174 Il principio della destinazione universale dei beni invita a coltivare una visione dell'economia ispirata a valori morali che permettano di non perdere mai di vista né l'origine, né la finalità di tali beni, in modo da realizzare un mondo equo e solidale, in cui la formazione della ricchezza possa assumere una funzione positiva. La ricchezza, in effetti, presenta questa valenza nella molteplicità delle forme che possono esprimerla come il risultato di un processo produttivo di elaborazione tecnico-economica delle risorse disponibili, naturali e derivate, guidato dall'inventiva, dalla capacità progettuale, dal lavoro degli uomini, e impiegato come mezzo utile per promuovere il benessere degli uomini e dei popoli e per contrastare la loro esclusione e il loro sfruttamento.
175 La destinazione universale dei beni comporta uno sforzo comune teso ad ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizioni necessarie allo sviluppo integrale, così che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano, « in cui ciascuno possa dare e ricevere, ed in cui il progresso degli uni non sarà un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento ». 367 Questo principio corrisponde all'appello incessantemente rivolto dal Vangelo alle persone e alle società di ogni tempo, sempre esposte alle tentazioni della brama del possesso, a cui lo stesso Signore Gesù ha voluto sottoporsi (cfr. Mc 1,12-13; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13) per insegnarci la via per superarle con la Sua grazia.
b) Destinazione universale dei beni e proprietà privata
176 Mediante il lavoro, l'uomo, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora: « In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l'origine della proprietà individuale ». 368 La proprietà privata e le altre forme di possesso privato dei beni « assicurano ad ognuno lo spazio effettivamente necessario per l'autonomia personale e familiare, e devono essere considerati come un prolungamento della libertà umana. Costituiscono in definitiva una delle condizioni delle libertà civili, in quanto producono stimoli ad osservare il dovere e la responsabilità ». 369 La proprietà privata è elemento essenziale di una politica economica autenticamente sociale e democratica ed è garanzia di un retto ordine sociale. La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, 370 così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di « comune e promiscuo dominio » . 371
177 La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile: « Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni ». 372 Il principio della destinazione universale dei beni afferma sia la piena e perenne signoria di Dio su ogni realtà, sia l'esigenza che i beni del creato rimangano finalizzati e destinati allo sviluppo di tutto l'uomo e dell'intera umanità. 373 Tale principio non si oppone al diritto di proprietà, 374 ma indica la necessità di regolamentarlo. La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete dei regimi e delle norme giuridiche ad essa relative, è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale dei beni, e quindi, in ultima analisi, non un fine ma un mezzo. 375
178 L'insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato, 376 con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune. 377 L'uomo « deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri ». 378 La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell'uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune. Ne consegue il dovere da parte dei proprietari di non tenere inoperosi i beni posseduti e di destinarli all'attività produttiva, anche affidandoli a chi ha desiderio e capacità di avviarli a produzione.
179 L'attuale fase storica, mettendo a disposizione della società beni nuovi, del tutto sconosciuti fino ai tempi recenti, impone una rilettura del principio della destinazione universale dei beni della terra, rendendone necessaria un'estensione che comprenda anche i frutti del recente progresso economico e tecnologico. La proprietà dei nuovi beni, che provengono dalla conoscenza, dalla tecnica e dal sapere, diventa sempre più decisiva, perché su di essa « si fonda la ricchezza delle Nazioni industrializzate molto più che su quella delle risorse naturali ». 379
Le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell'uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell'umanità. La piena attuazione del principio della destinazione universale dei beni richiede, pertanto, azioni a livello internazionale e iniziative programmate da parte di tutti i Paesi: « Occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti — individui e Nazioni — le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo ». 380
180 Se nel processo di sviluppo economico e sociale acquistano notevole rilievo forme di proprietà sconosciute in passato, non si possono dimenticare, tuttavia, quelle tradizionali. La proprietà individuale non è la sola forma legittima di possesso. Riveste particolare importanza anche l'antica forma di proprietà comunitaria che, pur presente anche nei Paesi economicamente avanzati, caratterizza, in modo peculiare, la struttura sociale di numerosi popoli indigeni. È una forma di proprietà che incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di quei popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere. La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria non devono escludere, tuttavia, la consapevolezza del fatto che anche questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi. Se si agisse in modo da garantire solo la sua conservazione, si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di comprometterla. 381
Resta sempre cruciale, specie nei Paesi in via di sviluppo o che sono usciti da sistemi collettivistici o di colonizzazione, l'equa distribuzione della terra. Nelle zone rurali, la possibilità di accedere alla terra tramite le opportunità offerte anche dai mercati del lavoro e del credito è condizione necessaria per l'accesso agli altri beni e servizi; oltre a costituire una via efficace per la salvaguardia dell'ambiente, tale possibilità rappresenta un sistema di sicurezza sociale realizzabile anche nei Paesi che hanno una struttura amministrativa debole. 382
181 Dalla proprietà deriva al soggetto possessore, sia esso il singolo oppure una comunità, una serie di obiettivi vantaggi: condizioni di vita migliori, sicurezza per il futuro, più ampie opportunità di scelta. Dalla proprietà, d'altro canto, può provenire anche una serie di promesse illusorie e tentatrici. L'uomo o la società che giungono al punto di assolutizzarne il ruolo finiscono per fare l'esperienza della più radicale schiavitù. Nessun possesso, infatti, può essere considerato indifferente per l'influsso che ha tanto sui singoli, quanto sulle istituzioni: il possessore che incautamente idolatra i suoi beni (cfr. Mt 6,24; 19,21-26; Lc 16,13) ne viene più che mai posseduto e asservito. 383 Solo riconoscendone la dipendenza da Dio Creatore e finalizzandoli conseguentemente al bene comune, è possibile conferire ai beni materiali la funzione di strumenti utili alla crescita degli uomini e dei popoli.
c) Destinazione universale dei beni e opzione preferenziale per i poveri
182 Il principio della destinazione universale dei beni richiede che si guardi con particolare sollecitudine ai poveri, a coloro che si trovano in situazioni di marginalità e, in ogni caso, alle persone a cui le condizioni di vita impediscono una crescita adeguata. A tale proposito va ribadita, in tutta la sua forza, l'opzione preferenziale per i poveri:  384 « È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore ». 385
183 La miseria umana è il segno evidente della condizione di debolezza dell'uomo e del suo bisogno di salvezza. 386 Di essa ha avuto compassione Cristo Salvatore, che si è identificato con i Suoi « fratelli più piccoli » (Mt 25,40.45): « Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. Allorché "ai poveri è predicata la buona novella" (Mt 11,5), è segno che Cristo è presente ». 387
Gesù dice: « I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete » (Mt 26,11; cfr. Mc 14,7; Gv 12,8) non per contrapporre al servizio dei poveri l'attenzione a Lui rivolta. Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall'altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l'illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46): « Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli ». 388
184 L'amore della Chiesa per i poveri si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù e alla Sua attenzione per i poveri. Tale amore riguarda la povertà materiale e anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa. 389 La Chiesa, « fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili ». 390 Ispirata al precetto evangelico: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8), la Chiesa insegna a soccorrere il prossimo nelle sue varie necessità e profonde nella comunità umana innumerevoli opere di misericordia corporali e spirituali: « Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio », 391 anche se la pratica della carità non si riduce all'elemosina, ma implica l'attenzione alla dimensione sociale e politica del problema della povertà. Sul rapporto tra carità e giustizia ritorna costantemente l'insegnamento della Chiesa: « Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia ». 392 I Padri Conciliari raccomandano fortemente che si compia tale dovere « perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia ». 393 L'amore per i poveri è certamente « inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico »  394 (cfr. Gc 5,1-6).

IV. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ

a) Origine e significato
185 La sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica sociale. 395 È impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale. 396 È questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla « soggettività creativa del cittadino ». 397 La rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più elevate di socialità. 398
186 L'esigenza di tutelare e di promuovere le espressioni originarie della socialità è sottolineata dalla Chiesa nell'enciclica « Quadragesimo anno », nella quale il principio di sussidiarietà è indicato come principio importantissimo della « filosofia sociale »: « Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle ». 399
In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto subsidium ») — quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale.
Alla sussidiarietà intesa in senso positivo, come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni in negativo, che impongono allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non devono essere soppiantate.
b) Indicazioni concrete
187 Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L'esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa.
Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell'apparato pubblico: « Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese ». 400 Il mancato o inadeguato riconoscimento dell'iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà.
All'attuazione del principio di sussidiarietà corrispondono: il rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; l'incoraggiamento offerto all'iniziativa privata, in modo tale che ogni organismo sociale rimanga a servizio, con le proprie peculiarità, del bene comune; l'articolazione pluralistica della società e la rappresentanza delle sue forze vitali; la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; il decentramento burocratico e amministrativo; l'equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; un'adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo « essere parte » attiva della realtà politica e sociale del Paese.
188 Diverse circostanze possono consigliare che lo Stato eserciti una funzione di supplenza. 401 Si pensi, ad esempio, alle situazioni in cui è necessario che lo Stato stesso promuova l'economia, a causa dell'impossibilità per la società civile di assumere autonomamente l'iniziativa; si pensi anche alle realtà di grave squilibrio e ingiustizia sociale, in cui solo l'intervento pubblico può creare condizioni di maggiore eguaglianza, di giustizia e di pace. Alla luce del principio di sussidiarietà, tuttavia, questa supplenza istituzionale non deve prolungarsi ed estendersi oltre lo stretto necessario, dal momento che trova giustificazione soltanto nell'eccezionalità della situazione. In ogni caso, il bene comune correttamente inteso, le cui esigenze non dovranno in alcun modo essere in contrasto con la tutela e la promozione del primato della persona e delle sue principali espressioni sociali, dovrà rimanere il criterio di discernimento circa l'applicazione del principio di sussidiarietà.

V. LA PARTECIPAZIONE

a) Significato e valore
189 Caratteristica conseguenza della sussidiarietà è la partecipazione, 402 che si esprime, essenzialmente, in una serie di attività mediante le quali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, direttamente o a mezzo di propri rappresentanti, contribuisce alla vita culturale, economica, sociale e politica della comunità civile cui appartiene. 403 La partecipazione è un dovere da esercitare consapevolmente da parte di tutti, in modo responsabile e in vista del bene comune. 404
Essa non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne, 405 l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità internazionale solidale. 406 In tale prospettiva, diventa imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune.
b) Partecipazione e democrazia
190 La partecipazione alla vita comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazioni del cittadino, chiamato ad esercitare liberamente e responsabilmente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche uno dei pilastri di tutti gli ordinamenti democratici, 407 oltre che una delle maggiori garanzie di permanenza della democrazia. Il governo democratico, infatti, è definito a partire dall'attribuzione, da parte del popolo, di poteri e funzioni, che vengono esercitati a suo nome, per suo conto e a suo favore; è evidente, dunque, che ogni democrazia deve essere partecipativa. 408 Ciò comporta che i vari soggetti della comunità civile, ad ogni suo livello, siano informati, ascoltati e coinvolti nell'esercizio delle funzioni che essa svolge.
191 La partecipazione si può ottenere in tutte le possibili relazioni tra il cittadino e le istituzioni: a questo fine, particolare attenzione deve essere rivolta ai contesti storici e sociali nei quali essa dovrebbe veramente attuarsi. Il superamento degli ostacoli culturali, giuridici e sociali, che spesso si frappongono come vere barriere alla partecipazione solidale dei cittadini alle sorti della propria comunità, richiede un'opera informativa ed educativa. 409 Meritano una preoccupata considerazione, in questo senso, tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica: si pensi, ad esempio, ai tentativi dei cittadini di « contrattare » le condizioni più vantaggiose per sé con le istituzioni, quasi che queste fossero al servizio dei bisogni egoistici, e alla prassi di limitarsi all'espressione della scelta elettorale, giungendo anche, in molti casi, ad astenersene. 410
Sul fronte della partecipazione, un'ulteriore fonte di preoccupazione è data dai Paesi a regime totalitario o dittatoriale, in cui il fondamentale diritto a partecipare alla vita pubblica è negato alla radice, perché considerato una minaccia per lo Stato stesso;  411 dai Paesi in cui tale diritto è enunciato soltanto formalmente, ma concretamente non si può esercitare; da altri ancora in cui l'elefantiasi dell'apparato burocratico nega di fatto al cittadino la possibilità di proporsi come un vero attore della vita sociale e politica. 412

VI. IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ

a) Significato e valore
192 La solidarietà conferisce particolare risalto all' intrinseca socialità della persona umana, all'uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Mai come oggi c'è stata una consapevolezza tanto diffusa del legame di interdipendenza tra gli uomini e i popoli, che si manifesta a qualsiasi livello. 413
Il rapidissimo moltiplicarsi delle vie e dei mezzi di comunicazione « in tempo reale », quali sono quelli telematici, gli straordinari progressi dell'informatica, l'accresciuto volume degli scambi commerciali e delle informazioni, stanno a testimoniare che, per la prima volta dall'inizio della storia dell'umanità, è ormai possibile, almeno tecnicamente, stabilire relazioni anche tra persone lontanissime o sconosciute.
A fronte del fenomeno dell'interdipendenza e del suo costante dilatarsi, persistono, d'altra parte, in tutto il mondo, fortissime disuguaglianze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, alimentate anche da diverse forme di sfruttamento, di oppressione e di corruzione che influiscono negativamente sulla vita interna e internazionale di molti Stati. Il processo di accelerazione dell'interdipendenza tra le persone e i popoli deve essere accompagnato da un impegno sul piano etico-sociale altrettanto intensificato, per evitare le nefaste conseguenze di una situazione di ingiustizia di dimensioni planetarie, destinata a ripercuotersi assai negativamente anche negli stessi Paesi attualmente più favoriti. 414
b) La solidarietà come principio sociale e come virtù morale
193 Le nuove relazioni di interdipendenza tra uomini e popoli, che sono, di fatto, forme di solidarietà, devono trasformarsi in relazioni tese ad una vera e propria solidarietà etico-sociale, che è l'esigenza morale insita in tutte le relazioni umane. La solidarietà si presenta, dunque, sotto due aspetti complementari: quello di principio sociale  415 e quello di virtù morale. 416
La solidarietà deve essere colta, innanzi tutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le « strutture di peccato », 417 che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l'opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti.
La solidarietà è anche una vera e propria virtù morale, non un « sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ». 418 La solidarietà assurge al rango di virtù sociale fondamentale poiché si colloca nella dimensione della giustizia, virtù orientata per eccellenza al bene comune, e nell'« impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a "servirlo" invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf. Mt 10,40-42; 20,25; Mc 10,42-45; Lc 22,25-27) ». 419
c) Solidarietà e crescita comune degli uomini
194 Il messaggio della dottrina sociale circa la solidarietà mette in evidenza il fatto che esistono stretti vincoli tra solidarietà e bene comune, solidarietà e destinazione universale dei beni, solidarietà e uguaglianza tra gli uomini e i popoli, solidarietà e pace nel mondo. 420 Il termine « solidarietà », ampiamente impiegato dal Magistero, 421 esprime in sintesi l'esigenza di riconoscere nell'insieme dei legami che uniscono gli uomini e i gruppi sociali tra loro, lo spazio offerto alla libertà umana per provvedere alla crescita comune, condivisa da tutti. L'impegno in questa direzione si traduce nell'apporto positivo da non far mancare alla causa comune e nella ricerca dei punti di possibile intesa anche là dove prevale una logica di spartizione e frammentazione, nella disponibilità a spendersi per il bene dell'altro al di là di ogni individualismo e particolarismo. 422
195 Il principio della solidarietà comporta che gli uomini del nostro tempo coltivino maggiormente la consapevolezza del debito che hanno nei confronti della società entro la quale sono inseriti: sono debitori di quelle condizioni che rendono vivibile l'umana esistenza, come pure di quel patrimonio, indivisibile e indispensabile, costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali, da tutto ciò che la vicenda umana ha prodotto. Un simile debito va onorato nelle varie manifestazioni dell'agire sociale, così che il cammino degli uomini non si interrompa, ma resti aperto alle generazioni presenti e a quelle future, chiamate insieme, le une e le altre, a condividere, nella solidarietà, lo stesso dono.
d) La solidarietà nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo
196 Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l'Uomo nuovo, solidale con l'umanità fino alla « morte di croce » (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell'amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità. 423 In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione.
Gesù di Nazaret fa risplendere dinanzi agli occhi di tutti gli uomini il nesso tra solidarietà e carità, illuminandone l'intero significato:  424 « Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: "Dare la vita per i propri fratelli" (cfr. 1 Gv 3,16) ». 425

  
VII. I VALORI FONDAMENTALI DELLA VITA SOCIALE

a) Rapporto tra principi e valori
197 La dottrina sociale della Chiesa, oltre ai principi che devono presiedere all'edificazione di una società degna dell'uomo, indica anche dei valori fondamentali. Il rapporto tra principi e valori è indubbiamente di reciprocità, in quanto i valori sociali esprimono l'apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punti di riferimento per l'opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. I valori richiedono, pertanto, sia la pratica dei principi fondamentali della vita sociale, sia l'esercizio personale delle virtù, e quindi degli atteggiamenti morali corrispondenti ai valori stessi. 426
Tutti i valori sociali sono inerenti alla dignità della persona umana, della quale favoriscono l'autentico sviluppo, e sono, essenzialmente: la verità, la libertà, la giustizia, l'amore. 427 La loro pratica è via sicura e necessaria per raggiungere il perfezionamento personale e una convivenza sociale più umana; essi costituiscono l'imprescindibile riferimento per i responsabili della cosa pubblica, chiamati ad attuare « le riforme sostanziali delle strutture economiche, politiche, culturali e tecnologiche e i necessari cambiamenti nelle istituzioni ». 428 Il rispetto della legittima autonomia delle realtà terrene induce la Chiesa a non riservarsi competenze specifiche di ordine tecnico e temporale, 429 ma non le impedisce di intervenire per mostrare come, nelle differenti scelte dell'uomo, tali valori siano affermati o, viceversa, negati. 430
b) La verità
198 Gli uomini sono tenuti in modo particolare a tendere di continuo alla verità, a rispettarla e ad attestarla responsabilmente. 431 Vivere nella verità ha un significato speciale nei rapporti sociali: la convivenza fra gli esseri umani all'interno di una comunità, infatti, è ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità. 432 Quanto più le persone e i gruppi sociali si sforzano di risolvere i problemi sociali secondo verità, tanto più si allontanano dall'arbitrio e si conformano alle esigenze obiettive della moralità.
Il nostro tempo richiede un'intensa attività educativa  433 e un corrispondente impegno da parte di tutti, affinché la ricerca della verità, non riconducibile all'insieme o a qualcuna delle diverse opinioni, sia promossa in ogni ambito, e prevalga su ogni tentativo di relativizzarne le esigenze o di recarle offesa. 434 È una questione che investe in modo particolare il mondo della comunicazione pubblica e quello dell'economia. In essi, l'uso spregiudicato del denaro fa emergere degli interrogativi sempre più pressanti, che rimandano necessariamente a un bisogno di trasparenza e di onestà nell'agire, personale e sociale.
c) La libertà
199 La libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina e, di conseguenza, segno della sublime dignità di ogni persona umana:  435 « La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana ». 436 Non si deve restringere il significato della libertà, considerandola in una prospettiva puramente individualistica e riducendola a esercizio arbitrario e incontrollato della propria personale autonomia: « Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell'io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone ». 437 La comprensione della libertà diventa profonda e ampia quando essa viene tutelata, anche a livello sociale, nella totalità delle sue dimensioni.
200 Il valore della libertà, in quanto espressione della singolarità di ogni persona umana, viene rispettato quando a ciascun membro della società è consentito di realizzare la propria personale vocazione; cercare la verità e professare le proprie idee religiose, culturali e politiche; esprimere le proprie opinioni; decidere il proprio stato di vita e, per quanto possibile, il proprio lavoro; assumere iniziative di carattere economico, sociale e politico. Ciò deve avvenire entro un « solido contesto giuridico », 438 nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico e, in ogni caso, all'insegna della responsabilità.
La libertà deve esplicarsi, d'altra parte, anche come capacità di rifiuto di ciò che è moralmente negativo, sotto qualunque forma si presenti, 439 come capacità di effettivo distacco da tutto ciò che può ostacolare la crescita personale, familiare e sociale. La pienezza della libertà consiste nella capacità di disporre di sé in vista dell'autentico bene, entro l'orizzonte del bene comune universale. 440
d) La giustizia
201 La giustizia è un valore, che si accompagna all'esercizio della corrispondente virtù morale cardinale. 441 Secondo la sua più classica formulazione, « essa consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto ». 442 Dal punto di vista soggettivo la giustizia si traduce nell'atteggiamento determinato dalla volontà di riconoscere l'altro come persona, mentre, dal punto di vista oggettivo, essa costituisce il criterio determinante della moralità nell'ambito inter-soggettivo e sociale. 443
Il Magistero sociale richiama al rispetto delle forme classiche della giustizia: quella commutativa, quella distributiva, quella legale. 444 Un rilievo sempre maggiore ha in esso acquisito la giustizia sociale, 445 che rappresenta un vero e proprio sviluppo della giustizia generale, regolatrice dei rapporti sociali in base al criterio dell'osservanza della legge. La giustizia sociale, esigenza connessa alla questione sociale, che oggi si manifesta in una dimensione mondiale, concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni. 446
202 La giustizia risulta particolarmente importante nel contesto attuale, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni d'intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell'utilità e dell'avere. Anche la giustizia, sulla base di tali criteri, viene considerata in modo riduttivo, mentre acquista un più pieno e autentico significato nell'antropologia cristiana. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, perché quello che è « giusto » non è originariamente determinato dalla legge, ma dall'identità profonda dell'essere umano. 447
203 La piena verità sull'uomo permette di superare la visione contrattualistica della giustizia, che è visione limitata, e di aprire anche per la giustizia l'orizzonte della solidarietà e dell'amore: « Da sola, la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l'amore ». 448 Al valore della giustizia, infatti, la dottrina sociale accosta quello della solidarietà, in quanto via privilegiata della pace. Se la pace è frutto della giustizia, « oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cf. Is 32,17; Gc 3,18): Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà ». 449 Il traguardo della pace, infatti, « sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore ». 450

  
VIII. LA VIA DELLA CARITÀ

204 Tra le virtù nel loro complesso, e in particolare tra virtù, valori sociali e carità, sussiste un profondo legame, che deve essere sempre più accuratamente riconosciuto. La carità, ristretta spesso all'ambito delle relazioni di prossimità, o limitata agli aspetti soltanto soggettivi dell'agire per l'altro, deve essere riconsiderata nella sua autentica valenza di criterio supremo e universale dell'intera etica sociale. Tra tutte le vie, anche quelle ricercate e percorse per affrontare le forme sempre nuove dell'attuale questione sociale, la « migliore di tutte » (1 Cor 12,31) è la via tracciata dalla carità.
205 I valori della verità, della giustizia, della libertà nascono e si sviluppano dalla sorgente interiore della carità: la convivenza umana è ordinata, feconda di bene e rispondente alla dignità dell'uomo, quando si fonda sulla verità; si attua secondo giustizia, ossia nell'effettivo rispetto dei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; è attuata nella libertà che si addice alla dignità degli uomini, spinti dalla loro stessa natura razionale ad assumersi la responsabilità del proprio operare; è vivificata dall'amore, che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui e rende sempre più intense la comunione dei valori spirituali e la sollecitudine per le necessità materiali. 451 Questi valori costituiscono dei pilastri dai quali riceve solidità e consistenza l'edificio del vivere e dell'operare: sono valori che determinano la qualità di ogni azione e istituzione sociale.
206 La carità presuppone e trascende la giustizia: quest'ultima « deve trovare il suo completamento nella carità ». 452 Se la giustizia è « di per sé idonea ad "arbitrare" tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo "misericordia"), è capace di restituire l'uomo a se stesso ». 453 Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: « L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa... È stata appunto l'esperienza storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: summum ius, summa iniuria ». 454 La giustizia, infatti, « in ogni sfera dei rapporti interumani, deve subire, per così dire, una notevole "correzione" da parte di quell'amore, il quale – come proclama San Paolo – "è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo ». 455
207 Nessuna legislazione, nessun sistema di regole o di pattuizioni riusciranno a persuadere uomini e popoli a vivere nell'unità, nella fraternità e nella pace, nessuna argomentazione potrà superare l'appello della carità. Soltanto la carità, nella sua qualità di « forma virtutum », 456 può animare e plasmare l'agire sociale in direzione della pace nel contesto di un mondo sempre più complesso.
Affinché tutto ciò avvenga, occorre però che si provveda a mostrare la carità non solo come ispiratrice dell'azione individuale, ma anche come forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d'oggi e per rinnovare profondamente dall'interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici. In questa prospettiva la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune  457 e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce.
208 La carità sociale e politica non si esaurisce nei rapporti tra le persone, ma si dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e politica, e su questa interviene, mirando al bene possibile per la comunità nel suo insieme. Per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta « in società », così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l'impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume, oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale.

. www.vitaecultura.it Centro culturale online "la Vita e la Cultura" di Paolo Autelitano - Agosto 2004 .
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